L’appello dei giovani medici: «Costretti a stare a casa mentre gli ospedali italiani hanno bisogno di personale»

di Fabio Giuffrida

Mentre in Italia manca il personale per mettere in funzione i ventilatori polmonari, 23mila medici neo abilitati, che stanno aspettando di entrare nella scuola di specializzazione, vorrebbero spendersi per il proprio Paese ma non possono. La storia di Victor Campagna

«Vogliamo dare un contributo al servizio sanitario nazionale, adesso, nel pieno della pandemia del Coronavirus, non fra due mesi. Se non ci siamo noi la sanità pubblica muore». A parlare a Open è Victor Campagna, 31 anni, medico neo abilitato, laureato alla Statale di Milano. Uno sfogo, il suo, che nasce dalla notizia secondo cui i ventilatori polmonari, messi a disposizione dal commissario per l’emergenza Domenico Arcuri, non possono entrare in funzione perché manca il personale sanitario negli ospedali. Macchinari indispensabili per rendere i posti di terapia intensiva immediatamente disponibili che, invece, sono stati messi lì, in un angolo, perché non ci sono medici. Una situazione che fa indignare i giovani medici in attesa di accedere alla scuola di specializzazione. Un esercito di 23 mila persone che rimane a casa aspettando. Cosa, non è dato a sapersi.


«Se hanno bisogno di noi perché non ci chiamano?»

Victor Campagna, che ha già fatto alcune sostituzioni come medico di base, sta aspettando la pubblicazione della graduatoria di fine ottobre per scoprire dove potrà prendere servizio, come specializzando, dal prossimo anno: «Perché aspettare così tanto tempo? Se hanno bisogno di noi, perché non ci chiamano? Non si potevano fare dei mini concorsi o delle selezioni urgenti? E, invece, no, io resto a casa in attesa, fra chissà quanti mesi, di dare una mano negli ospedali». Victor ci confida di aver mandato diversi curricula anche alle Rsa ma, al momento, di non aver ricevuto alcuna risposta.


«Costiamo pochissimo allo Stato»

«Ci considerano quasi degli studenti ma in realtà siamo dei veri e propri medici, in formazione, che spesso fanno più ore dei medici “strutturati” ma che guadagnano molto meno, appena 1.600 euro al mese da cui detrarre tasse universitarie, contributi e assicurazione. Una borsa di studio che non ci permette nemmeno di chiedere un mutuo alle banche. Insomma dei medici sottopagati che allo Stato costano pochissimo e ai quali non vengono riconosciuti nemmeno gli straordinari. In alcuni casi siamo proprio noi a tenere in piedi interi reparti».

Un esercito di 23mila persone: in 14mila dovrebbero entrare in servizio già dal prossimo anno. «Ma adesso? Chi aiuta gli ospedali per l’emergenza sanitaria che ha messo in ginocchio il nostro Paese?», tuona Victor, che è anche membro di ER – Ex rappresentati in prima linea.

750 pazienti in terapia intensiva

Insomma medici che potrebbero dare una mano al servizio sanitario nazionale che, nelle prossime settimane, rischia di andare in affanno. E i numeri lo dicono chiaramente. Allo stato attuale, infatti, i pazienti in terapia intensiva sono 750, circa il 10% dei posti disponibili (secondo il bollettino della Protezione civile del 18 ottobre). Il rischio è che la percentuale possa arrivare presto al 30%, ovvero all’emergenza. Lo spiega anche Giorgio Sestili a Open.

I ventilatori polmonari ci sono, i medici no

Intanto solo una parte dei ventilatori polmonari che, secondo il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia e secondo il commissario Arcuri, sono già stati distribuiti agli ospedali di tutta Italia, sono entrati in funzione. Il motivo? Mancanza di personale, di medici che possano gestirli, di operatori che possano implementare le terapie intensive. Insomma, le attrezzature ci sono, le risorse umane no. Una situazione paradossale.

In Abruzzo, come ha scritto il quotidiano la Repubblica, 123 erano i posti di terapia intensiva prima della pandemia, adesso ce ne sono solo 10 in in più nonostante i 66 ventilatori in dotazione. E lo conferma anche Franco Marinangeli, primario di terapia intensiva de L’Aquila, secondo cui appunto non ci sarebbe personale. «Saremo costretti a trasferire personale da altri reparti con conseguente riduzione delle prestazioni per altre patologie» spiega.

Ci vorrebbero almeno 4mila anestesisti rianimatori per far funzionare gli 8.288 posti di terapia intensiva immediatamente disponibili ma che le regioni non riescono a gestire lasciando negli scatoloni 1670 ventilatori polmonari su 3.100 inviati dal commissario per l’emergenza. Va decisamente meglio in Veneto con 825 posti disponibili, bene anche in Val d’Aosta e in Friuli Venezia Giulia. L’Emilia, invece, sugli 861 programmati, ne ha attivati 516, il Lazio 176 su 240, la Campania la metà della sua dotazione, l’Umbria ancora peggio. 60 ventilatori arrivati, ma ancora tutti negli scatoloni.

Foto in copertina di Open

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