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L’epidemiologa Salmaso: «Coprifuoco dalle 23 alle 5? Niente di scientifico, ma serve a dirci che dobbiamo rinunciare allo svago» – L’intervista

21 Ottobre 2020 - 09:32 Fabio Giuffrida
Ha senso imporre un lockdown dalle 23? E il momento dell’aperitivo? Davvero si eviteranno i contagi e, dunque, si abbasserà la curva epidemica? Lo abbiamo chiesto a Stefania Salmaso

L’Europa corre ai ripari e prova a frenare l’avanzata del Coronavirus chiedendo ai propri cittadini di restare a casa, in alcuni casi viene imposto anche il coprifuoco. Come avverrà in Campania dove non si potrà uscire di casa se non per motivi di lavoro, salute o necessità, dalle 23 alle 5 del mattino. Stessa situazione in Francia, dove a Parigi e in altre otto città è stato previsto il divieto di uscire dalle proprie abitazioni dalle 21 alle 6 del mattino. Nel Land di Salisburgo, in Austria, invece il coprifuoco è alle 22. Ma la domanda che sorge spontanea è: che senso ha imporre un lockdown – che dovrebbe servire a mettere un freno alla vita notturna e più in genere alla socialità – a partire dalle 23? E tutto quello che succede prima, come gli aperitivi, momento di massima concentrazione di ragazzi in alcune città, come appunto Milano?

«Va nella direzione di tagliare ciò che non è essenziale»

Lo abbiamo chiesto all’epidemiologa Stefania Salmaso che ha diretto a lungo il reparto di Epidemiologia delle Malattie infettive del laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica dell’Iss: «Questo provvedimento non è risolutivo e non c’è alcuna evidenza scientifica che ci dica che, con una chiusura dalle 23 alle 5, si abbassi la curva epidemiologica. Solo valutazioni di tipo generale – spiega a Open -. Questo Dpcm, invece, va nella direzione di tagliare ciò che non è essenziale, soprattutto le attività di svago. Il messaggio è chiaro: “Non chiudiamo noi perché bisogna salvaguardare istruzione ed economia ma voi comportatevi come foste in lockdown“. Un appello alla nostra responsabilità». Insomma, coprifuoco alle 23 che si traduce in: meno cene, meno rapporti sociali, meno dopocena.

«Non abbiamo collaborato per aiutare le Asl, bastava scaricare Immuni»

I problemi, secondo l’epidemiologa, sono principalmente due: l’assenza di capacità nella raccolta dei dati sul territorio che «non sono confluiti in un unico sistema». Questo, infatti, ha avuto come diretta conseguenza che, ad oggi, non sappiamo con certezza dove si siano verificati taluni contagi. «Non possiamo calcolare i rischi associati a specifici contesti», spiega. E poi c’è il problema del tracciamento che è sfuggito di mano alle Asl: troppi contagiati, pochissimo personale che possa occuparsi di rintracciare i contatti delle persone risultate positive. «Questo lavoro avrebbe potuto farlo automaticamente l’app Immuni che in molti non hanno voluto scaricare. La verità è che non abbiamo collaborato per sollevare la sanità pubblica, per aiutarla concretamente. E per questo siamo ancora a “carta e penna”».

«Serve senso di responsabilità»

Dunque, spiega ancora, «non c’è una soluzione che possa mettere tutti d’accordo, serve senso di responsabilità, senza ragionamenti “furbetti” da parte di qualcuno (il riferimento, ad esempio, è al comportamento del proprietario di un bar che ha chiuso e riaperto 15 minuti dopo il suo locale provando ad aggirare il nuovo Dpcm, ndr)». Nei prossimi giorni nulla cambierà: per vedere i risultati di quest’ultimo provvedimento restrittivo bisognerà «attendere circa 15 giorni».

Foto in copertina: ANSA/MATTEO BAZZI

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