Sono 15.199 i positivi, 127 i decessi nelle ultime 24 ore. Un bollettino di guerra quello arrivato oggi dalla Protezione Civile che annuncia un trend in continuo aumento di contagi da Covid-19. Il direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia, Giovanni Maga, aiuta oggi a decifrare i numeri e a fotografare il possibile scenario dei prossimi giorni.
Professore, guardando alla percentuale di positivi sul totale dei tamponi effettuati, nel giro di 14 giorni siamo passati dal 7% al 14% di incidenza. Alla luce di questi dati, quali saranno i tempi di raddoppio nei prossimi giorni?
«Per la precisione il 7 ottobre eravamo al 7% e il 19 eravamo già al 14%, così come oggi. L’aumento della curva è da considerarsi esponenziale, dunque se continuiamo così, potremmo parlare di raddoppio tra non più di una settimana, 14 giorni con un aumento lineare. Questo deve preoccuparci ma non stupirci. Nel bollettino di oggi vediamo positività che si sono accumulate nei giorni solo precedenti. Quello che sta succedendo in queste ore lo capiremo invece successivamente.
Prima di poter valutare se le misure messe in campo dagli ultimi due Dpcm saranno efficaci ci vorranno almeno 15 giorni. Il fatto che le positività crescono in maniera così importante si riflette anche sull’aumento delle persone che necessitano attenzione ospedaliera. Anche qui abbiamo visto crescere i numeri in maniera importante nel giro di 10 giorni. Da 150 a 300, poi 500 fino ai 603 ricoveri ordinari di oggi. La quota di persone che acquisiscono il virus aumenta e con loro anche le persone ospedalizzate».
Si può parlare di emergenza sanitaria?
«Direi più criticità che emergenza per ora. L’unico dato che sembra moderato sono le terapie intensive che rimangono stabili rispetto agli ultimi giorni. Certo sono cresciute di molto rispetto a un mese fa ma mi fanno pensare a una situazione critica piuttosto che di emergenza. Emergenza è stata quella di marzo, in cui l’esubero dei positivi negli ospedali era al limite. In questo momento sul territorio si cominciano ad avere occupazioni importanti dei posti letto».
Locali, scuole, uffici? Qual è il motore principale di questa nuova ondata?
«Le misure del governo, la capacità del sistema sanitario di tracciare i casi e isolarli non riuscirà ad avere gli effetti sperati se a monte non c’è una popolazione che limita il più possibile il rischio di contagio. Questo vuol dire che è ancora importante usare le ormai conosciute misure anti-contagio: mascherina, distanziamento e lavaggio delle mani. Non solo. L’attenzione in più ora è da rivolgere a tutte quelle situazioni di socialità potenzialmente rischiose e non necessarie. Riunioni, ricevimenti, visite. Queste occasioni sono ad oggi il motore dell’epidemia».
Oggi in Lombardia il governatore Attilio Fontana ha ristabilito didattica a distanza per tutti i licei. La scuola non rientra tra i luoghi che alimentano il contagio?
«No. L’epidemia non nasce nelle scuole o negli uffici. I dati ce lo dicono chiaramente. Solo il 2/3% dei focolai nascono a scuola. Per ciò che riguarda la Lombardia è vero che abbiamo raddoppiato il numero delle positività ma è vero anche che abbiamo quasi raddoppiato i tamponi. Da 21.000 a 36.000. La didattica a distanza per i licei può sicuramente avere la valenza di diminuire l’impatto di movimento di molte persone, in primis sui mezzi pubblici. Questo può aiutare per l’effetto domino che la riduzione di persone circolanti può provocare ma ripeto: la presenza in classe non è il nodo della trasmissione del virus».
Ha parlato di una curva che è destinata a crescere non di poco nei prossimi 15 giorni. Crede che le misure attuali siano troppo blande?
«La volontà chiara è quella di calibrare le misure con il quadro epidemiologico, cercando allo stesso tempo di tutelare il sistema economico. Il problema è che il quadro epidemiologico adesso evolve molto rapidamente, non a caso abbiamo avuto bisogno di due Dpcm in una settimana. Il mutamento è spesso più veloce della nostra capacità di predisporre in maniera graduale e cauta misure di restrizione. Per evitare un nuovo lockdown avremo bisogno di azioni più forti e mirate».
Ha descritto i dati dell’ultimo periodo come parte di una fase di ancora piena espansione del virus. A quando l’orizzonte di una nuova tregua?
«Sicuramente il periodo che ci aspetta, in particolare tra la fine di novembre e la fine di febbraio, sarà il periodo più intenso. Saranno mesi complicati e soprattutto mesi in cui se non riusciremo a controllare il più possibile la situazione potrebbe essere necessario una misura molto stringente. La situazione non migliorerà, al limite potrà attenuarsi. Sperando che in primavera effettivamente le cose migliorino».
L’Irbm di Pomezia oggi ha confermato quanto detto dal premier Conte: prime dosi di vaccino entro i primi di dicembre. Una possibilità reale?
«Non metto in dubbio la validità dei risultati nonostante la rapidissima procedura che è stata seguita per arrivare all’obiettivo. Dico piuttosto che se anche l’ipotesi oggi confermata diventerà realtà, il vaccino a dicembre non sarà certo per tutti. Ci saranno delle priorità, per cui la cosa non sarà immediatamente risolutiva. La speranza poi è che non si verifichi una situazione analoga a quella dell’anti-influenzale, dove i medici raccomandano di vaccinarsi ma non ci sono abbastanza dosi neanche per i cittadini più a rischio. Quello che è certo è che a gennaio non saremo tutti vaccinati, dunque ci saranno persone che continueranno ad ammalarsi».
Che fare dunque?
«Puntare sulle terapie, sull’implementazione delle risorse ai presidi ospedalieri, ai medici generali per fronteggiare i casi. Abbiamo imparato molto finora, gli strumenti conoscitivi ci sono».
Molto ma forse non abbastanza, viste le criticità che la seconda ondata sta nuovamente mettendo in luce?
«Se si riferisce al fatto che potevamo investire di più nell’aumentare la capacità delle Rsa, nel migliorare la gestione corretta delle degenze, o ancora nel potenziamento delle figure sanitarie come infermieri e medici generali, la risposta è sì. Sul vaccino il discorso è differente perché è più ampio. L’investimento sulla ricerca è una lacuna datata del nostro Paese. Mai come adesso si è capito quanto sia importante ma non mi sembra di vedere che questa consapevolezza più volte ripetuta stia portando a un flusso di finanziamenti significativi per la ricerca scientifica. Speriamo non occorra un’altra pandemia per far capire ancora meglio».
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