La Brexit unisce l’Irlanda (e la Scozia) in nome dell’Erasmus

L’Irlanda ha dichiarato che sarà Dublino a pagare l’Erasmus agli studenti dell’Irlanda del Nord, mentre la premier scozzese Sturgeon ha definito la decisione di Londra di interrompere lo scambio con la Ue “vandalismo culturale”

L’accordo tra Unione europea e Regno Unito per regolare i rapporti dopo la Brexit non è ancora stato ratificato, ma sta già portando a conseguenze impreviste con possibili effetti a catena. Uno degli aspetti più sgraditi dell’accordo è l’uscita del Regno Unito dal programma Erasmus, decisione che il capo-negoziatore dell’Ue, Michel Barnier, ha comunicato con dispiacere, mentre Boris Johnson si affrettava a promettere ai giovani britannici un programma alternativo altrettanto efficace.


La decisione di Dublino

A muoversi in maniera inattesa è stato il governo dell’Irlanda che, per voce del ministro dell’Istruzione, ha dichiarato che sarà Dublino a pagare l’Erasmus agli studenti dell’Irlanda del Nord. Il costo stimato è circa 2,1 milioni di euro ed era già tutto pronto, il governo irlandese aveva progettato l’opzione ad aprile nel caso di una Brexit senza accordo. Vista la controversa decisione britannica però, si è deciso di procedere lo stesso. L’obiettivo di Dublino è unificare la vita degli irlandesi, che in questo modo continueranno ad avere accesso a un programma disponibile agli altri abitanti dell’isola d’Irlanda.


Sulla carta non sono grandi numeri, l’Irlanda del Nord ha 1,9 milioni di abitanti e l’anno scorso solo 649 di loro hanno partecipato all’Erasmus. Le cose però potrebbero cambiare: tra gli effetti sgraditi della Brexit c’è anche la fine del riconoscimento delle qualifiche professionali legate al valore legale del titolo di studio, quindi uno studente nordirlandese che vorrà lavorare in Irlanda (o nel resto dell’Ue) sarà incentivato a prendere in esame l’idea non solo di partecipare all’Erasmus, ma anche di studiare direttamente in Irlanda.

La questione irlandese

Durante i negoziati per la Brexit il dossier più complicato era proprio quello legato all’Irlanda del Nord, in gioco c’era la pace raggiunta con l’accordo del Venerdì Santo. Il nodo è stato risolto con un accordo che prevede un protocollo speciale. Secondo il Withdrawal Agreement, entrato in vigore a febbraio di quest’anno, il Regno Unito è fuori dall’unione doganale dell’Ue e l’Irlanda del Nord sarà parte di tutti i futuri accordi commerciali britannici.

Ciò nonostante, il territorio dell’Irlanda del Nord si distingue dall’isola della Gran Bretagna, in quanto adotta le regole del mercato unico dell’Ue sui prodotti (inclusa l’Iva) al fine di prevenire un confine fisico all’interno dell’isola irlandese, rimanendo così un punto di ingresso nell’unione doganale europea. Il risultato è la presenza di un confine giuridico tra le due entità statuali dell’isola d’Irlanda, nei fatti inesistente, mentre il confine reale (fatto di controlli e regolamenti) è quello che corre lungo il tratto di mare che separa l’Irlanda del Nord dall’Isola della Gran Bretagna. Un risultato che è l’opposto di quel che volevano i brexiteers più duri, ovvero l’istituzione di un confine interno al Regno Unito che rafforzasse il controllo sul pezzo britannico dell’Irlanda.

Adesso che il divorzio tra le due sponde della Manica giunge a compimento, i nord-irlandesi sono obbligati a scegliere non solo se essere irlandesi o britannici, ma anche tra l’essere europei o meno. L’esito di queste scelte e le conseguenze che avranno potranno essere valutate solo nel medio-lungo periodo, ma il fine ultimo di Dublino è riunificare pacificamente l’Irlanda, e il nuovo status quo imposto dalla Brexit potrebbe far cambiare idea a quegli irlandesi del Nord ancora indecisi tra Corona britannica e Irlanda unita.

La questione scozzese

Se per il momento gli interessi dell’Irlanda del Nord sono tutelati dal Withdrawal Agreement e dal governo straniero dell’Irlanda, non si può dire lo stesso della Scozia. La premier scozzese, Nicola Sturgeon, ha reagito ai festeggiamenti di Johnson per il Brexit-deal con sdegno. Con un primo tweet, Sturgeon ha sottolineato ancora una volta che la Brexit è stata fatta contro la volontà della Scozia, promettendo un nuovo referendum per l’indipendenza dopo quello di sei anni fa.

Ma è sulla negazione dell’Erasmus agli scozzesi che sono arrivate le parole più taglienti, definendo la decisione di Londra come «vandalismo culturale da parte del governo del Regno Unito». Non sorprende quindi la notizia che Edimburgo non escluda di chiedere al governo britannico di consentire agli studenti scozzesi di continuare a prendere parte al programma di scambio Erasmus, pagandone le spese. Una richiesta che, se venisse accolta, diventerebbe causa di un’ulteriore divisione interna ai cittadini britannici.

Nel 2014 la Scozia votò sull’indipendenza con presupposti completamenti diversi rispetto a quelli attuali, e gli scozzesi scelsero di rimanere a far parte del Regno Unito. L’obiettivo di Edimburgo è votare di nuovo, quello di Londra di convincere gli scozzesi che bisogna restare uniti. Non sarà facile. Il futuro della Brexit è ancora da scrivere, ma per il momento si può dire che lo slogan brexiteers «Riprendiamo il controllo!» suoni un po’ troppo ottimistico.

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