Gaza, l’amara verità di Israele: «Restano vivi solo 33 ostaggi, morti gli altri 100». Ora l’Egitto spinge per una tregua «minima» per liberarli

La rivelazione del «Jerusalem Post» che spegnerebbe le speranze di decine di famiglie. «Qatar ai margini, media Il Cairo per evitare l’incursione a Rafah»

Cento dei 133 ostaggi che ancora si stima siano prigionieri a Gaza a 200 giorni dal loro rapimento il 7 ottobre sarebbero morti. È l’amarissima valutazione condivisa dall’intelligence israeliana e dai mediatori egiziani che da mesi cercano (invano) di portare Israele e Hamas a un accordo quanto meno di tregua. Lo riporta il Jerusalem Post in un articolo in cui si dà conto degli ultimi timidi avanzamenti nei negoziati. Oggi infatti una delegazione egiziana ha incontrato la controparte in Israele, dopo che ieri erano stati il capo di stato maggiore dell’Idf Herzi Halevi e il capo dello Shin Bet Ronen Bar a recarsi al Cairo. Nessun grande disegno di cessate il fuoco alle viste: la fiducia tra le parti in guerra è ai minimi termini. Quello su cui si starebbe ora ragionando sarebbe una finestra «limitata» di tregua, nella quale verrebbero rilasciati 33 ostaggi. 33 e non di più – nei precedenti round negoziali s’ipotizzavano «cicli di liberazione» di 40 ostaggi alla volta – per una ragione crudissima: sarebbero gli unici rimasti in vita. Si tratterebbe di «donne, anziani e malati», ha detto una fonte coinvolta nelle trattative al quotidiano israeliano, confermando di fatto i «timori» degli Usa, filtrati nelle scorse settimane sul Wall Street Journal, che la gran parte degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas potessero in realtà essere morti.


La «minaccia» di Rafah e il ruolo dell’Egitto

Quanto durerebbe dunque la tregua nell’ipotesi della liberazione dei 33? Non c’è ancora un consenso sull’esatta tempistiche, ma «certamente meno delle sei settimane» evocate nelle precedenti bozze d’intesa, ha detto il funzionario citato. Un accordo al minimo, insomma, in grado di riportare a casa le poche decine di ostaggi che sarebbero sopravvissuti dopo quasi sette mese di prigionia, probabili vessazioni e guerra. Quel che è certo è che a spingere per quest’obiettivo è ora soprattutto l’Egitto, che vuole evitare ad ogni costo che Israele si decida invece a lanciare l’incursione finale su Rafah – promessa a più riprese dal governo Netanyahu – temendo il caos al confine con la Striscia con una pressione insostenibile di civili palestinesi in fuga. «Gli egiziani stanno davvero prendendo in mano la questione ora», ha detto la fonte al Jerusalem Post, notando come invece il Qatar sia ormai sempre più tagliato da fuori dal cuore delle trattative: l’emirato avrebbe perso credibilità agli occhi di Israele sia per l’inefficacia della sua mediazione, sia per il suo rifiuto di espellere dal Paese i leader in esilio di Hamas e di sostenere finanziariamente il movimento islamista.


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