L’Egitto sta costruendo un campo profughi per i palestinesi in fuga da Rafah con mura alte 5 metri – Foto e video

I piani rivelati da un’ong attiva nel Sinai: pronta un’area recintata per ospitare fino a 100mila persone. Così Al Sisi si giocherà la carta con Israele

Dove andranno le centinaia di migliaia di civili palestinesi rifugiati nella zona di Rafah dopo aver abbandonato le proprie case più a nord, se Israele porterà come annunciato la sua offensiva dentro la città più a sud della Striscia? Una riposta certa ad oggi non c’è. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha detto una settimana fa di aver chiesto ai generali di predisporre i piani di evacuazione della popolazione civile: se sono stati messi a punto, però, fin qui nulla è trapelato. A temere di diventare il destinatario suo malgrado degli sfollati è l’Egitto, che nelle scorse settimane ha ribadito con toni sempre più accesi il suo niet: se Israele spinge qui i civili di Gaza, mette a rischio pure il Trattato di pace con noi, hanno avvertito le autorità del Cairo. Accanto alla linea dura diplomatica, però, sul terreno il governo di Al Sisi sta preparando altre mosse. Fotografie, video e immagini satellitari mostrano come nella zona di confine sul fronte egiziano, siano in corso i lavori di costruzione di una grande area recintata da alte mura. Ufficialmente l’Egitto non dice di che si tratta, ma secondo il Wall Street Journal – che ha approfondito il tema sulla base delle immagini pubblicate dall’ong Sinai Foundation for Human Rights ci sono pochi dubbi: si tratta di preparativi di un campo fortificato destinato ai palestinesi di Gaza, nel caso dovesse diventare realtà lo scenario di una fuga oltre confine spinta dall’invasione di Rafah. Un campo di grandi dimensioni in una zona desertica, distante da ogni insediamento abitato, che è stata preventivamente “ripulita” nelle ultime due settimane: vi potrebbero essere ospitate sino a 100mila persone, hanno detto alcuni funzionari egiziani al quotidiano Usa. Anche il New York Times ha analizzato le immagini e parlato con alcuni professionisti che stanno lavorando al cantiere, ricavando la notizia che il campo – commissionato direttamente dall’esercito egiziano – sorgerà su un’area di circa cinque chilometri quadrati e sarà circondato da mura di cemento alte cinque metri. Un gran numero di tende da montare sarebbe già stato spedito a destinazione, fa sapere ancora il Wsj, che pure riporta le smentite ufficiali delle autorità regionali.


Le immagini della costruzione del futuro campo nei pressi del confine di Rafah diffuse dalla Sinai Foundation for Human Rights

Frecce all’arco di Al Sisi

Che significa dunque il progetto in corso d’opera nel Sinai del nord? Che l’Egitto ha cambiato idea ed è pronto ad accogliere i palestinesi in fuga dalla guerra nella Striscia? Non proprio. Sarebbe se mai uno strumento a disposizione del Paese da poter utilizzare in diverse maniera, secondo analisti della regione. Se davvero la situazione oltre confine sfuggisse di mano, costituirebbe la soluzione per l’Egitto per dare accoglienza temporanea ai palestinesi in fuga in maniera “controllata” – le autorità mirerebbero però in questo caso a “limitare” il numero di rifugiati entro un massimo di 50-60mila persone. Se invece la situazione dovesse rimanere più “fluida”, il regime di Al Sisi avrebbe presto un’arma negoziale in più da spendere nei colloqui con Israele, gli Usa e gli altri partner regionali: potrebbe offrire la sua disponibilità a prendere in carico un numero limitato di rifugiati palestinesi in cambio di fondi o altri incentivi. Quel che è certo, in ogni caso, è che dal campo fortificato i palestinesi eventualmente accolti non potrebbero poi uscire se non per partire verso un altro Paese, hanno detto ancora sotto anonimato funzionari egiziano al Wsj. Si calcola siano circa 1,5 milioni i civili rifugiati nella zona più meridionale della Striscia, in massima parte in tende di fortuna, in condizioni disperate e terrorizzati per l’inizio della possibile offensiva israeliana. Di cui sinora si sono avute avvisaglie con una serie di bombardamenti condotti negli ultimi giorni, incluso quello che ha portato alla liberazione di due ostaggi rapiti il 7 ottobre in un blitz di unità speciali dell’esercito. Gli Usa, l’Onu e quasi tutti i Paesi europei hanno chiesto a Netanyahu di non procedere all’attacco che potrebbe condurre a una catastrofe umanitaria, ma il premier è rimasto sin qui sordo agli appelli: secondo il suo governo, l’offensiva è necessaria per portare a termine lo smantellamento di Hamas, responsabile dell’eccidio del 7 ottobre 2023.


Foto di copertina: Sinai Foundation for Human Rights / X

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