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Curarsi la Covid-19 a casa: i protocolli indipendenti non si fermano. Ma quali linee guida sono davvero affidabili?

31 Dicembre 2020 - 10:16 Giada Giorgi
L’ultimo documento pubblicato è quello del professore Remuzzi dell’Istituto Mario Negri, che consiglia di battere il virus sul tempo con terapia immediata. Contattato da Open, il presidente dell’Ordine dei Medici di Milano critica l’iniziativa

Se è vero che la lotta al Coronavirus ha da pochi giorni un nuovo alleato, è altrettanto vero che in Italia – nonostante il vaccino – ci si ammala ancora. La notizia incoraggiante delle ultime ore sulle terapie intensive, con un dato nazionale non più oltre la soglia di allerta (30%), non distoglie gli esperti dai rischi della stagione influenzale alle porte. La terza ondata, definita più volte «inevitabile» porterà la popolazione a nuove lotte contro un’infezione spesso silenziosa. A questo proposito torna urgente il tema delle cure in casa, per tutti gli infettati con sintomi lievi non bisognosi quindi di ricovero, o ancor peggio per tutti i potenziali contagiati in attesa del risultato di un tampone eseguito da giorni. «Che fare se risulto positivo al virus ma non sono così grave da dover essere ricoverato?», «Come comportarsi se mentre aspetto l’esito di un tampone mi accorgo di primi sintomi?». Domande a cui tutti gli impegnati nella lotta domestica al virus tentano di rispondere. Nell’assenza di direttive nazionali, le linee guida finora sfornate da team di ricerca e infettivologi di grido, hanno cercato di dare parametri non sempre concordi tra loro. Senza contare i problemi riguardanti i veri punti cardine di tutto il sistema terapeutico casalingo, e cioè i medici di famiglia. Proviamo dunque a fare il punto con le ultime novità sul tema.

Il problema

Risale agli inizi del mese di marzo l’appello dei medici di base al governo per ottenere un documento univoco che li guidasse nella cura dei pazienti infettati. Le indicazioni al tempo erano state piuttosto generali, in linea con la poca conoscenza scientifica del virus di cui si disponeva. Nel mese di novembre poi la notizia di una bozza di un protocollo guida in approvazione, attraverso il quale il ministero della Salute avrebbe fornito le indicazioni a pazienti e medici di famiglia sull’iter più indicato per intervenire sull’infezione. 15 giorni dopo, la notizia dell’approvazione della bozza aveva fatto sperare su una pubblicazione imminente, ma per ora nulla di fatto. Nessun’altra ufficialità se non l’iniziativa indipendente di singoli ordini dei medici, in primis quello della Lombardia, o di infettivologi, come Matteo Bassetti, attraverso protocolli più o meno condivisi.

Il rischio di linee guida indipendenti è facile da immaginare. Pareri e indicazioni a volte discordanti si fanno spesso fucìna di iniziative personali confuse e pericolose da parte degli stessi pazienti, in un “fai da te” che, seppur legittimato dalla difficoltà del momento, rimane non ammissibile in tempi complessi come quelli di una pandemia. Dall’altro lato poi, il punto chiave dei medici di famiglia. Quelli che nelle difficili settimane di picco, sono riusciti a stento a seguire la grande quantità di pazienti sotto cura, con le testimonianze annesse di infettati spesso dichiaratisi «abbandonati». L’abbandono di cui molti tuttora parlano riguarda anche quel particolare momento di limbo in cui, dopo essersi sottoposti a tampone, i potenziali contagiati devono attendere l’esito del test. L’indicazione principale è quella di stare in casa e aspettare. E se intanto cominciano a comparire i primi sintomi? Se nel frattempo l’infezione progredisce?

Farmaci prima dell’esito del tampone: l’ultima indicazione arriva da Remuzzi

A parlarne è il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Farmacologico Mario Negri, e il professor Fredy Suter, a lungo primario di malattie infettive all’Ospedale di Bergamo. Il documento che hanno stilato è rivolto ai medici di famiglia e spiega come curare a casa la Covid, «minimizzando il rischio di ricovero in ospedale». Il punto chiave sostenuto dal documento di Remuzzi è il dover agire prima dell’esito positivo del tampone. L’obiettivo è quello di non dare modo all’infezione di diffondersi nell’organismo, cercando di inibire quella che gli esperti considerano la seconda fase infiammatoria del virus. La più grave e, nella maggior parte dei casi, quella più bisognosa di assistenza ospedaliera.

«Appena si avvertono i sintomi come febbre, tosse, spossatezza, dolori ossei e muscolari, mal di testa:»

  • non aspettare l’esito del tampone già eseguito
  • non aspettare l’arrivo del medico né l’aggravarsi dei sintomi per poi rivolgersi al Pronto soccorso

«Ma agire come si fa con le virosi delle alte vie respiratorie e quindi:»

  • NO antipiretici come paracetamolo
  • SI farmaco antinfiammatorio

L’indicazione sull’antinfiammatorio da prendere subito, viene motivata da Remuzzi come intervento utile per i primi 4-7 giorni successivi al periodo di incubazione, quando «la carica virale è altissima». E quando, continua il primario, «di solito non si fa niente, limitandosi a prendere l’antipiretico aspettando il tampone». I farmaci consigliati dal documento sarebbero mirati a battere sul tempo l’arrivo della sindrome respiratoria acuta, la stessa che permetterebbe al virus di arrivare ai polmoni:

  • Nimesulide, ovvero Aulin. Nella dose consigliata di 100 milligrammi due volte al giorno, dopo i pasti, per un massimo di 12 giorni.
  • Aspirina, 500 milligrammi due volte al giorno 
  • Celecoxib e tutti gli “inibitori della ciclo-ossigenasi 2”. Il medico può prescriverne una dose iniziale di 400 milligrammi seguita da una di 200 nel primo giorno di terapia, e poi un massimo di 400 milligrammi per giorno nei giorni successivi, se necessario.
  • Corticosteroide se la febbre persiste insieme ai dolori articolari

«In caso di tampone positivo procedere invece con esami specifici: conto dei globuli rossi e bianchi, creatinina per la funzione renale, PCR che indica se l’infiammazione sta andando avanti.

Se i valori sono nella norma:

  • continuare con Aulin o Aspirina attenendo il naturale esaurimento della malattia nel giro di 10 giorni

«Se gli esami dovessero risultare fuori norma:

  • radiografia al torace, se possibile eseguita anche a casa.
  • cortisone
  • ossigeno
  • antibiotico solo in caso in cui la radiografia mostri una sovrapposizione batterica 

I dubbi dell’Ordine dei medici di Milano

«Vedo linee guida a destra e a manca, sento molti “io farei così”, ma il punto è che non può essere una questione di opinione». A parlare ad Open sulle ultime indicazioni per la cura in casa di Covid-19 è il presidente dell’Ordine dei medici di Milano, il dott. Roberto Rossi. «Come federazione regionale degli ordini abbiamo stabilito, insieme al professor Massimo Galli, una serie di linee guida che si basano su uno studio scientifico a tutti gli effetti, così come dovrebbe essere sempre. E anche l’Ordine regionale della Lombardia si è mossa in questo senso» ha ricordato prima di tutto Rossi. Il presidente sottolinea come le evidenze scientifiche siano fondamentali per sfuggire al fai da te, anche in riferimento a quanto proposto dal dott. Remuzzi. Il documento del direttore del Mario Negri, per sua stessa ammissione, non sarebbe infatti un protocollo scientifico a tutti gli effetti, ma un insieme di indicazioni, «derivate dalla cura sperimentata in campo di alcuni pazienti infetti». Sulla direttiva di Remuzzi di battere il virus sul tempo ancora prima di sapere l’esito del tampone, il dott. Rossi si mostra piuttosto scettico. «Il lavoro che abbiamo fatto con il team di ricerca del professor Galli del Sacco di Milano non va in questa direzione». Fornire un’indicazione simile per il presidente dell’Ordine dei medici milanesi non rende conto di una questione ancora aperta sulla reale utilità di un farmaco durante una fase troppo anticipata.

«Dobbiamo tenere conto anche di chi invita a non iniziare troppo presto la somministrazione di farmaci perché non solo potrebbe avere una scarsa utilità ma addirittura essere depressiva di una risposta immunitaria, almeno nella primissima fase».

Quello che sappiamo dagli altri protocolli: no agli antibiotici, eccezioni per eparina e cortisone

Dopo le indicazioni del professor Remuzzi, il protocollo più recente in termini di tempo è quello dell’infettivologo Matteo Bassetti. Il primario di Malattie Infettive all’ospedale San Martino di Genova, nonché coordinatore della commissione sui ricoveri di pazienti affetti da Covid-19 istituita dall’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), ha proposto, un vero e proprio vademecum delle cure in casa. Il presupposto di partenza del protocollo Cure domiciliari per il Covid è quello della differenza tra asintomatici e sintomatici. Per i primi non sarebbe necessaria alcuna terapia, mentre per i secondi andrebbe fatta una ulteriore distinzione tra sintomi lievi e sintomi moderati.

  • Sintomi lievi: febbre non superiore a 38°C e/o lieve sintomatologia respiratoria e/o dolore muscolare
  • Sintomi moderati: febbre persistente superiore ai 38.5°C per 96 ore con tosse e con dispnea da sforzo. Saturazione dell’ossigeno a riposo maggiore o uguale del 93% oppure maggiore o uguale al 90% in pazienti con patologie polmonari croniche

Sia in caso di sintomi lievi che moderati il protocollo di Bassetti indica come farmaci utili:

  • Paracetamolo
  • Ibuprofene
  • Acido acetilsalicilico (Aspirina)

L’uso di Eparina deve essere considerato su soggetti over 60 con ridotta mobilità o presenza di altri fattori di rischio. Il cortisone sarebbe invece da considerare solamente dopo 5-7 giorni dall’esordio dei sintomi e «da evitare in chi non presenta segni di compromissione respiratoria». Sugli antibiotici invece l’indicazione generale è quella di non prevederne l’uso nella prima fase dell’infezione per introdurli solo in caso di «sovrainfezione batterica». Su quest’ultima parte nello specifico sembrano accordarsi anche le linee guida del Comitato tecnico scientifico della Lombardia: gli antibiotici vanno previsti solo se si sospetta un’infezione batterica «e mai come profilassi». Parere più contrastante quello sull’eparina che invece la Lombardia consiglierebbe sempre, tranne in casi di specifiche contro indicazioni, e utilizzato spesso come farmaco anticoaugulante. In accordo col vademecum di Bassetti anche per quanto concerne i cortisonici: «Consigliati solo nel caso in cui è presente anche un’ossigenoterapia, ovvero quando la saturazione è inferiore al 94 per cento».

La consulenza ad personam è la vera unica linea guida

«Ho avuto un paziente infetto da Covid-19 e asmatico. In quel caso ho forzato le linee guida diffuse dalla Lombardia consigliando un po’ prima del dovuto la terapia steroidea». Il presidente dell’Ordine dei medici di Milano spiega con un esempio quanto qualsiasi direttiva possa venir data, rimane fondamentale la consulenza del medico di famiglia. Il rischio di basarsi su regole generalizzate è anche e soprattutto questo, nel pericolo di assumere farmaci non adatti al proprio specifico quadro clinico. Un aspetto in fondo confermato anche dalle stesse polemiche che hanno seguito la diffusione del protocollo di Bassetti da parte della stessa Agenas con cui collabora. L’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali si sarebbe infatti discostata dalle linee guida del professore: «Non è stato da noi né condiviso né approvato». In uno scenario di non pochi rischi su terapie individuali fai da te, la figura del medico rimane centrale. «Il bello e il brutto della nostra professione è in fondo questo», continua Rossi, «non c’è caso precostituito, e la stessa legge Gelli sulla responsabilità dei medici lo ribadisce: le linee guida vanno rispettate fatto salvo dei casi specifici».

Ma è allora su questo presupposto che il circolo, tutt’altro che virtuoso, di monitoraggio e tracciamento dei casi risulta ancora un problema. Le testimonianze di chiamate e richieste di assistenza ai propri medici di famiglia da parte di contagiati o presunti tali sono state uno dei maggiori punti dolenti delle due ondate di contagi avvenute. «Ci sono stati momenti in cui durante il picco più alto, noi medici di famiglia abbiamo avuto dai 100 ai 120 casi accertati. È comprensibile quindi la difficoltà di riuscire anche solo fisicamente ad essere presente», spiega il dottor Rossi. La situazione secondo il presidente ora si sarebbe notevolmente appianata. «Si può non avere risposta a una telefonata massimo per un giorno o due, ma attualmente è molto difficile non riuscire ad avere un’assistenza puntuale», conclude.

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