Adriano Urso, morto per sopravvivere a un mercato del lavoro privo di opportunità – Il commento

di Giampiero Falasca

La tragica scomparsa del jazzista romano mette a nudo i tanti difetti del nostro sistema economico

La morte di Adriano Urso, il jazzista colpito da infarto mentre lavorava come rider per sbarcare il lunario deve far riflettere sulle pessime condizioni in cui versa l’attuale mercato del lavoro. Non c’è niente di male a fare il rider, anzi:  si tratta di un lavoro che ingiustamente viene sottovalutato, mentre invece va riconosciuto come uno dei tanti mestieri che hanno un futuro nell’economia digitale (soprattutto se e quando sarà risolto l’annoso tema della subordinazione).


Il problema, nel caso di Urso, è che il lavoro di rider non era stato intrapreso per scelta ma era un ripiego rispetto al lavoro di musicista, il lavoro che sapeva e voleva fare. Un lavoro che non offre da vivere, soprattutto in questo periodo; e piuttosto che stare a casa a fare la fame si era rimboccato le maniche aveva messo in moto la sua auto d’epoca per consegnare i pranzi e le cene. Una scelta di grande dignità, una forma di adattamento necessario a un mercato del lavoro che ignora le competenze delle persone, tradisce i sogni e le aspettative di chi coltiva un talento e non è in grado di fornire alternative credibili nei momenti in cui questo talento non può essere messo a frutto.


Il peggior mercato del lavoro d’Europa

Un mercato del lavoro che ancora è fedele alla definizione che gli diede oltre 20 anni fa il compianto professor Marco Biagi: il peggior mercato del lavoro d’Europa. La scadente condizione di questo mercato del lavoro si è aggravata durante la pandemia, non tanto perché ci sono meno opportunità di lavoro: questo è inevitabile e non se ne può fare una colpa a nessuno (se non al Covid). Questa aggravamento è dovuto alla qualità delle tutele che il mercato offre agli esclusi, a quelli che stanno con un piede dentro e un piede fuori dalla cittadella delle tutele.

La cassa integrazione, le misure anticrisi e i provvedimenti di emergenza hanno avuto un solo obiettivo: rafforzare le tutele di chi era già tutelato, limitare i danni di chi aveva qualcosa di solido. Un obiettivo in parte raggiunto, ma questo grande lavoro di rafforzamento di chi era meno debole ha trascurato gli outsider, quelli che avevano bisogno di una mano per non finire fuori dal mercato. Questa mano non è arrivata e centinaia e centinaia di migliaia di precari sono rimasti a casa oppure sono finiti a spingere di notte la propria auto d’epoca per poter sbarcare dignitosamente il lunario. E’ arrivato il momento di rimettere al centro delle politiche pubbliche questo tema: ridare dignità agli esclusi, cessando la politica dei sussidi e investendo sulla risorsa oggi meno presente nel mercato del lavoro, le opportunità.

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