Recovery Plan, dodici settimane per ottenere i fondi europei: per il governo rischiano di essere poche

Gli Stati membri devono presentare i piani definitivi entro fine aprile, dopodiché la Commissione avrà due mesi di tempo per valutarne i contenuti

Dopo le raccomandazioni del vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, e quelle più dirette all’Italia del commissario all’economia, Paolo Gentiloni, la Commissione ha presentato agli Stati membri gli aggiornamenti delle linee guida da rispettare nella preparazione dei piani nazionali. All’Italia, come a tutti, viene chiesto di indicare quali riforme intende fare per garantire l’esecuzione del suo Recovery Plan, fornendo chiarimenti sulle modalità con cui affrontare le criticità riscontrate nelle raccomandazioni del 2019 and 2020.


Le spiegazioni dovrebbero coprire anche aspetti di bilancio, come l’efficienza della raccolta del gettito fiscale, la composizione della spesa e la sostenibilità dei conti pubblici. Inoltre, i 12 Stati che hanno squilibri macroeconomici eccessivi – e l’Italia è tra questi – sono invitati a specificare come saranno affrontati dai Recovery Plan. In estrema sintesi: i piani di ripresa e resilienza devono essere l’occasione per affrontare, correggere e risolvere gli squilibri macroeconomici preesistenti, non per nascondere la polvere sotto il tappeto.


Nel frattempo, Roma è alle prese con la (non) crisi di governo, che di ora in ora si arricchisce di protagonisti e scenari in vista dell’ennesima giorno decisivo (che poi decisivo non è mai). Il tempo a disposizione dell’Italia però comincia a essere davvero poco vista la mole di lavoro che serve a definire il programma entro la scadenza di fine aprile. Il piano di rilancio più ambizioso che l’Ue abbia mai messo in campo si deciderà tutto nelle prossime 10-12 settimane, attraverso una procedura mai testata prima.

La fase di implementazione è iniziata

La Recovery and Resilience Facility (RRF), ovvero il cuore del Recovery Fund, sta entrando nella fase di implementazione. La guida aggiornata riflette l’ambito dello strumento, strutturato attorno a sei pilastri: transizione verde, digitalizzazione, produttività e competitività, coesione sociale e territoriale, resilienza istituzionale, politiche per la prossima generazione. Gli Stati membri devono presentare i Recovery Plan definitivi entro fine aprile, dopodiché la Commissione avrà due mesi di tempo per valutarne i contenuti e inoltrare al Consiglio europeo le raccomandazioni per deciderne l’implementazione entro un altro mese.

La Commissione avrà tre opzioni:

  • approvare il piano, e raccomandare la concessione dell’intero importo assegnato allo Stato membro;
  • approvare il piano ma raccomandare meno fondi, in quanto non convinta dei calcoli presentati dello Stato membro;
  • rifiutare il piano, in quanto non idoneo.

Perciò, una volta presentato il piano finale la Commissione non è in grado di accettarlo eliminandone delle parti: o va bene così com’è, o dovrà ridurre gli importi delle misure contestate come non idonee (ovviamente presentando le dovute argomentazioni). Fino al caso estremo di essere costretta a respingerlo in caso di inadeguatezza. Questo significa che per funzionare i piani vanno esaminati, discussi e concordati dalla A alla Z prima della consegna.

Ecco perché le prossime 10-12 settimane che precedono la scadenza di fine aprile rappresentano un collo di bottiglia insidioso, settimane in cui il governo italiano deve stabilire come saranno spesi i miliardi del Recovery Fund fino al 2026. Per il momento la stesura dei piani è tutta nelle mani delle capitali, ma presto inizierà un negoziato permanente tra Commissione e ogni singolo Stato membro, con interazioni quasi esclusivamente bilaterali che rischiano di svolgersi principalmente dietro le quinte.

Cosa succederà allora?

Una volta che i piani saranno stati approvati dal Consiglio, i Paesi possono iniziare ad attuarli – o potrebbero in parte averlo già fatto, anticipando le risorse. La prima tranche dei fondi può trasferire fino al 13% della dotazione totale (per l’Italia dovrebbero essere circa 27-30 miliardi), perciò a luglio (o giù di lì) il denaro inizierà ad arrivare nelle casse degli Stati nazionali.

I trasferimenti successivi arriveranno ogni sei mesi, con esborsi condizionati al raggiungimento di alcuni target e una determinata tempistica, con controlli ex post della Commissione mirati a verificare che le condizioni prestabilite siano state soddisfatte. Sono previsti anche controlli in loco da parte dei funzionari dell’Ufficio europeo per la lotta anti-frode. La Commissione vuole assicurarsi che il Recovery Fund non diventi un’occasione sprecata, e in quanto principale beneficiario, l’Italia è al centro dell’attenzione. Se il Paese dovesse rivelarsi incapace di trarre vantaggio dal Next Generation EU, il suo profilo economico e politico ne uscirebbe fortemente ridimensionato.

Foto di copertina: Pexel

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