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Valeria Solesin e l’attentato al Bataclan, il complottista Rosario Marcianò condannato per diffamazione (di nuovo)

26 Febbraio 2021 - 07:30 David Puente
Diversi i processi a carico del complottista sanremese, ma col tempo arrivano le condanne. In questo caso, oltre alla pena di un anno di reclusione, anche un risarcimento dei danni fissato in 20.000 euro più le spese legali

«I complottisti, prima o poi, pagano», così titolava un articolo di Open del 19 ottobre 2020 sul processo a Rosario Marcianò per le orrende falsità su Valeria Solesin e la sua famiglia. Secondo il complottista italiano, l’attentato terroristico al Bataclan del 13 novembre 2015 a Parigi sarebbe soltanto una enorme messinscena organizzata con attori pagati e inesistenti vittime, come appunto l’italiana Valeria Solesin. Per «Mister nò» ora è arrivata la condanna in primo grado per diffamazione.

La famiglia Solesin, rappresentata dall’avvocata Elena Fiorini di Genova, aveva presentato tre denunce querele dal 2016 al 2017 per poi attendere la prima udienza in tribunale dopo circa quattro anni di indagini. La pena riconosciuta al complottista, per diffamazione aggravata e a seguito di giudizio abbreviato, è di un anno di reclusione, oltre al risarcimento dei danni alle parti civili riconosciuto per ciascuna in 20.000 euro più le spese legali.

Le vicende giudiziarie non si concludono con il caso Solesin. Denunciato per diffamazione via web dalla giornalista Silvia Bencivelli, «Mister nò» venne condannato in primo grado nel 2018 a otto mesi di reclusione, sentenza confermata nel 2020 in appello per la quale lo stesso complottista si trova ora impossibilitato a fare ricorso in Cassazione.

Per Marcianò le date fissate in calendario non finiscono qui. Le sue attività negazioniste sulla Covid-19, come l’istigazione a delinquere durante la prima ondata della pandemia e il conseguente sequestro dei suoi canali social, lo vedranno protagonista di un nuovo processo a suo carico insieme a quello conclusivo, previsto per il 27 maggio, sul caso Serena Giacomin e Massimo Della Schiava che portò nel 2013 al sequestro dei dispostivi digitali del complottista.

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