International Women’s Day, la storia di Natalia Quero: «Ho subito mobbing in gravidanza. In Italia il campo di battaglia è il lavoro»

7 storie per 7 Paesi europei per raccontare gli ostacoli e le sfide di chi donna ci è nata o ci è diventata. Il progetto di Open in occasione dell’8 marzo parte dall’Italia, con la testimonianza di una professionista e madre pugliese

Natalia Quero, 35 anni, pugliese, due figli, fino a quattro anni fa lavorava in un’azienda della moda. Si occupava del settore commerciale. Andava tutto bene fino a quando non è andata in maternità. Con l’arrivo della prima figlia, infatti, tutto è improvvisamente cambiato. «Hanno iniziato a umiliarmi, sono stata allontanata dal gruppo: non venivo più invitata ai pranzi, parlavano male di me, i miei clienti si riducevano sempre di più. I lunedì erano diventati un incubo e pensare che io il mio lavoro lo adoravo. Ecco perché ho preferito dimettermi», racconta a Open. Una scelta per dire basta a un ambiente «tossico» in un’azienda che, tra l’altro, «pubblicizzava il valore della donna ma nel frattempo non mi difendeva».


«Perché tutta quella cattiveria?»

Un vero e proprio «mobbing» che le ha fatto capire come, in Italia, «diventare madre, realizzarsi come donna, si scontra spesso con il lavoro, con la propria carriera». Lo spiega così: «Non capisco perché qualcuno abbia voluto rovinare il periodo più bello della mia vita. Perché tutta quella cattiveria?». Per ottenere quel posto di lavoro, Quero aveva fatto tanto: studiato, cambiato città, investito tempo ed energie. Non voleva rinunciarci. E poi perché mai avrebbe dovuto? «Il giorno prima di sposarmi ero in riunione, a migliaia di chilometri di distanza dal posto in cui sarei dovuta convolare a nozze. Ho rischiato persino di perdere l’aereo», aggiunge.


«La solitudine nel giorno delle dimissioni»

Il giorno più brutto della sua vita è stato quello delle dimissioni: «In quel giorno ho vissuto tutto il fallimento di quei due anni: ho sentito di aver rinunciato a combattere la mia battaglia. Mi sono sentita sola». Dopo il licenziamento, comincia la ricerca di un nuovo lavoro: «All’inizio facevo anche cinque colloqui al giorno, poi c’è stato un drastico calo. La condizioni di madre risultava certamente scomoda per i datori di lavoro». Così come viene mal vista nella scuola dei suoi figli dove – confida – «ci sono ancora pregiudizi, mi reputano una madre assente solo perché delego qualcuno per andare a prendere mia figlia. Io se lavoro, e lavoro tanto, lo faccio anche per lei».

«Adesso lavoro in un’azienda di soli uomini»

Ma c’è anche un aspetto positivo in questa storia. Dopo le dimissioni, infatti, Natalia Quero ha trovato un altro lavoro, sempre nel reparto commerciale ma stavolta in una nota azienda di alimentari. «Sono passata da una società composta prevalentemente da donne a una di quasi soli uomini. All’inizio avevo qualche dubbio, e un grande paura di rivivere quella situazione. Dopo un po’ ho realizzato di avere intorno colleghi uomini che finalmente mi trattano come una collega. A prescindere, com’è giusto che sia, dal fatto che io sia donna o uomo».

Per la realizzazione di questa intervista si ringrazia Il Giusto Mezzo, un movimento spontaneo per la parità tra donne e uomini in Italia nato sulla scorta dell’appello europeo “Half of It” che chiede l’utilizzo della metà delle risorse del Recovery Fund per superare il divario di genere in Europa. Natalia Quero è una delle attiviste del Giusto Mezzo.

Video di OPEN | Illustrazione di Sonia Cucculelli

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