Ristoratori sul piede di guerra: «Traditi da Salvini, chiediamo i danni al governo. Pronti allo sciopero della fame» – Le interviste

Magliettina e mascherina di “#ioapro”. Così Salvini incoraggiava le proteste dei ristoratori, che ora lo accusano di esser stati dimenticati dal leader della Lega una volta andato al governo

Non ce la fanno più. Da un anno i ristoratori chiedono risposte (e ristori), vogliono sapere come e quando riaprire in sicurezza. Adesso – raccontano a Open – sono «stremati» e «non credono più a nessuno», nemmeno a chi in un primo momento sembrava aver preso a cuore la loro condizione legata alla mancata riapertura serale dei locali a causa del Covid e alla serrata totale al pubblico in zona arancione e rossa.


«Salvini ci ha traditi, ci ha delusi. Ha pensato solo ai suoi interessi. In queste settimane non ha fatto nulla, peccato che poco tempo fa – come peraltro dimostrano le foto – indossava persino la mascherina e la maglietta di “#ioapro” . Ci aveva detto “farò il possibile dal 6 marzo per riaprire in sicurezza” e, invece, niente. Non ha nemmeno votato l’emendamento presentato da Fratelli d’Italia sulla riapertura di bar e ristoranti in zona gialla anche a cena. Lega e Forza Italia si sono astenute».


A parlare a Open è Umberto Carriera, ristoratore di Pesaro (titolare de La Macelleria) e promotore di #ioapro che nei mesi scorsi ha mobilitato centinaia di ristoratori, in tutta Italia, e che ha organizzato – come documentato da questo giornale – con altri ristoratori, alcune cene illegali, in violazione dei Dpcm, per protestare contro i provvedimenti.

«Stiamo preparando una class action contro il governo»

Ora, però, non è più tempo di riaperture illegali, #ioapro è acqua passata (o, almeno, così sembra). «Siamo passati ai tribunali, al Consiglio di Stato. Adesso, con una class action che stiamo preparando e per la quale abbiamo già raccolto 5mila adesioni, chiediamo al governo un risarcimento dei danni pari al mancato incasso di questo anno, al netto dei pochissimi ristori ricevuti», spiega Carriera. Intanto per sabato 20 marzo è prevista a Modena una manifestazione (“#noinonsiamoloro”) a cui prenderanno parte non solo i ristoratori ma anche baristi, dj, proprietari di palestre, parrucchieri, operatori dello spettacolo, «tutti i dimenticati di questo governo».

L’idea di un nuovo gruppo politico

Non una protesta a caso. Carriera – pur non volendo anticipare troppo – lascia intendere che la sua idea, considerando le poche risposte ricevute finora dalla politica, sarebbe quella di convogliare questo malcontento «in un partito» che dia le risposte che nessuno ha avuto il coraggio di dare loro in questi mesi di pandemia. Un gruppo politico che rappresenterebbe le partite Iva, tutte, senza alcuna distinzione.

«Pronti allo sciopero della fame, adesso basta»

A rincarare la dose è Paolo Polli, titolare del ristorante Ambaradan, di Milano, tra i promotori della riapertura serale dei locali previo tampone all’ingresso. Polli, così come altri colleghi, è pronto anche a fare «lo sciopero della fame qualora il governo non dovesse ascoltare le nostre istanze». «Salvini ha pensato solo alla poltrona, prima criticava Conte perché non ci dava i ristori e gridava “le aziende stanno morendo, fate velocemente”, ora che si trova al governo non ha fatto più nulla. Non parla più di ristori stranamente».

La «bolla» delle consegne a domicilio

Le consegne a domicilio, poi, sembrano non essere affatto sufficienti a tenere a galla le loro attività, spiega Polli: «Sono una “bolla”, non incassiamo nulla. Tutti i ristoratori hanno aperto al domicilio e quindi adesso ci ritroviamo in tantissimi a spartirci questa piccola torta. Senza considerare poi le alte percentuali che si prendono i delivery classici, fino al 35 per cento. Cosa ci guadagniamo? Io, ad esempio, sono passato da 1.000 a 100 euro di incasso al giorno. Questo significa che se sto chiuso spendo meno, almeno non pago le bollette». «In un anno – continua – ho recuperato il 2 per cento del mio fatturato annuale, nulla quindi. E so di dipendenti di locali, in cassa integrazione, costretti a lasciare Milano perché, con quello che prendono, cioè solo una parte del loro stipendio, non riescono a pagarsi nemmeno l’affitto. Che ci fai con 600-800 euro a Milano? Insomma, va peggio di prima».

Foto in copertina: UMBERTO CARRIERA | FACEBOOK

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