«Meglio tardi che mai. Abbiamo già trattato 6 pazienti con gli anticorpi monoclonali all’ospedale San Martino di Genova. Questo significa, di fatto, che ho evitato di ricoverare 6 persone in un reparto con appena 25 posti letto. Adesso stanno tutti bene, sono a casa e le cose stanno funzionando. Tra questi, oltre al primo paziente di 71 anni, c’è anche un giovane di 31 anni con trapianto di reni e con diverse patologie. Se il Covid non fosse stato bloccato, probabilmente sarebbe finito sotto ventilazione, avrebbe avuto problemi. Ora, invece, è tutto sotto controllo. Peccato essere arrivati così in ritardo, nonostante tra settembre e ottobre 2020 sia stata proposta una sperimentazione con 10mila dosi. Come mai non è stata fatta? Non chiedetelo a me ma a Magrini e Aifa. Qualcuno dovrebbe rispondere su questo».
A parlare a Open è il professor Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive al San Martino di Genova, dove da qualche giorno viene eseguito il trattamento con gli anticorpi monoclonali su pazienti positivi che «abbiano più di 65 anni, più patologie o, se più giovani, con problemi rilevanti come l’obesità». Un trattamento che serve ad «evitare l’ospedalizzazione e che i pazienti sviluppino i sintomi più gravi»: «Meglio usare l’estintore che l’idrante – dice – Meglio una fiala che i farmaci “pesanti”. I dati che ci arrivano dagli States ci dicono che questo farmaco riduce non solo l’ospedalizzazione ma anche l’evento morte».
«Avremmo potuto salvare più pazienti nella prima ondata»
Ma sugli anticorpi monoclonali c’è sempre stato un clima di scetticismo in Italia. «Li produciamo a Latina ma poi li mandiamo in altri Paesi. Abbiamo fatto così per mesi. Avremmo potuto salvare molti pazienti e diminuire la pressione ospedaliera nei mesi di ottobre e novembre 2020. E, invece, no. Per fortuna adesso non è più così». A chi dice che gli anticorpi monoclonali siano una terapia per ricchi, Bassetti replica: «Non è così. Costa di più, è vero, ma, evitando l’ospedalizzazione, fa risparmiare moltissimo il servizio sanitario nazionale. Una terapia intensiva può costarci fino a 3.500 euro al giorno. Non dimentichiamoci, poi, che abbiamo creduto fin troppo nel plasma, che a conti fatti si è dimostrato fallimentare nei casi gravi. Non è servito praticamente a niente».
L’antivirale in compresse
Dalla prossima settimana, invece, o comunque «entro i prossimi 10 giorni», comincerà al San Martino – e in altri sei centri italiani – la sperimentazione dell’antivirale in compresse, che potrà essere somministrato direttamente a casa. «Un antibiotico che ha dato risultati importanti negli studi di fase 2, ha dimostrato di ridurre la carica virale in maniera significativa. Dopo 5 giorni nei pazienti è stata registrata una carica virale praticamente pari a zero. Un farmaco complementare, quello del “molnupiravir”, da utilizzare solo in soggetti con malattia lieve».
Foto in copertina: ANSA/LUCA ZENNARO
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