Sospesi senza stipendio gli «infermieri No Vax»? Non è quello che dice l’ordinanza del Tribunale di Belluno

Il giudice ha confermato le ferie forzate ma retribuite. Il rischio di provvedimenti più drastici resta, ma solo a determinate condizioni

Nel corso della giornata del 23 marzo 2021 è circolata la notizia dell’ordinanza del Tribunale di Belluno in merito alla sospensione di 10 operatori sanitari di una RSA che avevano rifiutato la vaccinazione anti Covid19. Il giudice Anna Travia aveva respinto il ricorso dei dipendenti, dando ragione al datore di lavoro, ma secondo quanto diffuso dalle agenzie e dai quotidiani – incluso Open – ci sarebbe stata persino la sospensione dello stipendio, ma su questo il giudice non si era affatto pronunciato.

A Open abbiamo trattato, grazie a un articolo dell’avvocato Giampiero Falasca, le misure che i datori di lavoro possono e non possono attuare in caso i dipendenti decidessero di non sottoporsi alla vaccinazione anti Covid19. La possibilità di un allontanamento senza stipendio c’è, ma risulta essere una forma estrema condizionata da diversi fattori.

Per chi ha fretta

  • I 10 operatori sanitari risultano in ferie forzate, ma retribuite.
  • Il giudice non ha rilevato un pericolo concreto di licenziamento o sospensione dal lavoro senza stipendio, pertanto non si è pronunciato in merito.
  • La possibilità di una sospensione senza stipendio è possibile, a determinate condizioni.

Analisi

I 10 operatori sanitari, di cui 2 infermieri, sarebbero stati dichiarati «inidonei al servizio» dal medico del lavoro permettendo che venissero allontanati. Si parla di ferie forzate, non di licenziamento o sospensione, pertanto pagate. Veniamo ora a quanto contenuto nell’ordinanza – da non confondere con sentenza – n.12/2021 del Tribunale di Belluno diffusa via Facebook dall’avv. Sandri alle 14:40 del 23 marzo 2021 (il cerchiato in rosso è nostro):

ritenuta l’insussistenza del periculum in mora quanto alla sospensione dal lavoro senza retribuzione ed al licenziamento, paventati da parte ricorrente, non essendo stato allegato da parte ricorrente alcun elemento da cui poter desumere l’intenzione del datore di lavoro di procedere alla sospensione dal lavoro senza retribuzione e al licenziamento;

Bisognerebbe leggere la richiesta presentata dai ricorrenti, ossia i 10 operatori sanitari, per comprendere quali siano i punti sottoposti al giudizio del Tribunale di Belluno, tuttavia risulta che il giudice non abbia riscontrato nella loro attuale situazione gli estremi per un licenziamento e una sospensione della retribuzione.

Risulta certo che il giudice abbia dato ragione al datore di lavoro per le scelte intraprese a tutela degli stessi lavoratori così come la necessità di vaccinazione:

ritenuto che la permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. il quale impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti; che è ormai notorio che il vaccino per cui è causa – notoriamente offerto, allo stato, soltanto al personale sanitario e non anche al personale di altre imprese, stante la attuale notoria scarsità per tutta la popolazione – costituisce una misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia;

Risulta che il giudice riconosca la scelta del datore di lavoro in merito all’attuazione delle ferie:

ritenuto, quanto al periculum in mora, che l’art. 2109 c.c. dispone che il prestatore di lavoro “ Ha anche diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro “; che nel caso di specie prevale sull’eventuale interesse del prestatore di lavoro ad usufruire di un diverso periodo di ferie, l’esigenza del datore di lavoro di osservare il disposto di cui all’art. 2087 c.c.;

Ribadendo che non si ha conoscenza del testo del ricorso, risulta comprensibile immaginare che il giudice sia stato chiamato a esprimersi sull’eventualità di un licenziamento da parte del datore di lavoro in caso di mancata vaccinazione dei dipendenti. In un procedimento d’urgenza il giudice è tenuto a tutelare la posizione dei 10 operatori sanitari da un pericolo imminente, che però non si è ancora verificato: infatti, in assenza di prove fornite dal ricorrente, non può immaginare le prossime mosse dello stesso datore del lavoro.

Il pericolo licenziamento non è del tutto lontano. In un articolo di Open del 1° gennaio 2021, a firma dell’avvocato Giampiero Falasca, vengono illustrate le possibilità a disposizione del datore di lavoro nei confronti di un dipendente che non voglia sottoporsi alla vaccinazione:

Gli argomenti fin qui illustrati consentono di escludere che il datore di lavoro possa licenziare il dipendente che rifiuta il vaccino, nella normalità dei casi. Questo non vuol dire che il licenziamento sia da escludere sempre e comunque: ci possono essere casi specifici nei quali la misura è giustificata, almeno sul piano teorico. Si tratta di casi, tuttavia, estremamente limitati, nei quali il licenziamento sarebbe possibile solo in presenza di diverse condizioni: dovrebbe essere dimostrato, dal datore di lavoro, che la misura del vaccino, per via delle mansioni svolte, sia indispensabile per tutelare la salute anche negli ambienti di lavoro e dei colleghi.

La tutela della salute da parte del datore di lavoro viene effettivamente citata nell’ordinanza, dunque potrebbe essere una situazione che configuri la possibilità di un licenziamento? Ci sono delle condizioni prima di arrivare alla scelta più drastica:

Inoltre, si dovrebbe dimostrare che non vi siano misure alternative adeguate e ragionevolmente sufficienti a tutelare la salute (dispositivi di sicurezza, metodi di disinfezione, smart-working, ecc.); ma anche in caso di esito negativo di questa verifica, il datore di lavoro, prima di procedere al licenziamento, avrebbe l’onere di provare a ricollocare il dipendente su posizioni organizzative che presentino profili di rischio di contagio minori. Se mancano le condizioni prima descritte, e quindi il licenziamento è precluso, come può il datore di lavoro gestire i problemi derivanti dal dipendente non vaccinato?

Alcune misure le abbiamo ricordate: può gestire il dipendente cambiandogli le mansioni, ove possibile, oppure può collocarlo in smart working, se tale modalità di lavoro è compatibile con l’attività svolta. Come ultima opzione, il datore di lavoro potrebbe anche decidere collocare in aspettativa non retribuita il dipendente che non accetta il vaccino ma non può essere messo a contatto con il pubblico: tale misura si fonderebbe sulla situazione di temporanea inidoneità al lavoro del dipendente.

Conclusioni

L’ordinanza del Tribunale di Belluno non ha affatto confermato una sospensione dal lavoro senza stipendio. Risulta possibile che i 10 operatori sanitari temano, rifiutando la vaccinazione, di venire sospesi senza stipendio o addirittura licenziati e abbiamo sottoposto la questione al giudice, senza però fornire prove del rischio imminente. Al momento risultano in ferie forzate, ma retribuite, tuttavia non è esclusa la possibilità futura per il datore di lavoro – a determinate condizioni – di procedere con altre forme di allontanamento quali l’aspettativa non retribuita del dipendente.

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