La sospensione tedesca della ratifica del Recovery Fund è un brutto segnale per Bruxelles (e per l’Italia)

Fino alla sentenza, la ratifica tedesca del Recovery Fund resterà in sospeso, con la conseguenza di accendere un dibattito politico in Germania sull’unione fiscale e la costruzione di un bilancio comune

La Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe ha sospeso in via momentanea la ratifica del Recovery Fund, chiedendo al Presidente della Repubblica di non firmare la legge approvata nei due rami del parlamento (Bundestag e Bundesrat). Il presidente Frank-Walter Steinmeier dovrà attendere la pronuncia degli alti togati. Alla base della disputa il procedimento presentato dall’economista anti-euro, Bernd Lucke, fondatore ed ex-membro del partito di estrema destra AfD. Sul piano giuridico il ricorso contesta l’indebitamento comune previsto nell’ambito del Next Generation EU, giudicandolo inammissibile in quanto rappresenta un rischio che il Recovery Fund diventi il primo passo verso l’istituzione di uno strumento permanente per l’emissione di debito comune dell’Unione europea.


L’indebitamento comune significa che se alcuni Stati membri dovessero risultare insolventi scaricherebbero la perdita (anche) sul bilancio della Germania, e quindi sui contribuenti tedeschi. La Corte di Karlsruhe dovrà pronunciarsi su questo. Una preoccupazione ampiamente condivisa nella politica tedesca, anche nella CDU/CSU e dalla stessa Angela Merkel. Durante il discorso al parlamento è stata proprio la Cancelleria a riaffermare che il Ngeu deve rimanere uno strumento “una tantum”. Fino alla sentenza, la ratifica tedesca del Recovery Fund resterà in sospeso, con la conseguenza di accendere un dibattito politico in Germania e obbligare i partiti a prendere posizione in vista delle elezioni politiche di fine settembre.


Cosa significa per l‘Unione europea

A Bruxelles dovrebbero preoccuparsi. Se le cose vanno bene, la Corte di Karlsruhe darà un parere positivo e tutta questa storia finirà con un ritardo, più o meno significativo. Ma se le cose vanno male, il Recovery Fund sarebbe stroncato sul nascere, segnando la fine del più grande progetto dell’Ue, quello su cui tanti Stati membri – in primis l’Italia – ripongono tutte le speranze di rilancio dopo la crisi pandemica. Anche se è improbabile, lo scenario peggiore resta comunque nel campo del possibile.

Cosa potrebbe sentenziare la Corte

Sono possibili tre risultati. Il tribunale respinge l’ingiunzione, e chiude a ogni ipotesi di successivi procedimenti. Il secondo è che il tribunale respinge l’ingiunzione, ma accetta il caso, e qui bisognerà vedere con quali precisazioni. Infine, c’è lo scenario peggiore in cui i giudici accolgono l’ingiunzione e aprono il caso. A quel punto la Germania non potrebbe ratificare il Ngeu per anni, e il Recovery Fund resterebbe in sospeso fino a quando Berlino non avrà trovato un modo per conformarsi alla sentenza.

Lo scenario più realistico è che il tribunale respinga l’ingiunzione, ma stabilendo che il Ngeu resti un’eccezione e che Berlino sia tenuta a porre il veto a qualsiasi tentativo di perpetuare lo strumento o istituirne un altro basato sullo stesso metodo (indebitamento comune). Detta più semplicemente, la Corte di Karlsruhe giudica incostituzionale la partecipazione della Germania a ogni ipotesi di bilancio comunitario emesso con titoli europei (eurobond). A quel punto, per modificare la decisione servirebbe cambiare la Costituzione, che richiede un’impossibile maggioranza parlamentare di due terzi. 

Cosa significa per l’Italia

Gli eurobond sono tra i più alti obiettivi del federalismo europeo, e in particolare dell’Italia e di Mario Draghi. Durante la conferenza stampa di venerdì, il premier ha parlato del ruolo internazionale dell’euro, di quanta strada sia ancora necessaria prima di arrivare a un bilancio comune basato sull’emissione di eurobond. Draghi ha detto che un bilancio federale europeo è l’unico strumento che darebbe all’euro un ruolo internazionale paragonabile a quello del dollaro, e che nonostante l’opposizione di vari Paesi che la pensano in maniera diversa (Germania e i Paesi nordici), occorre un impegno politico verso l’obiettivo dell’unione fiscale.

Draghi rispondeva a Christian Wermke, il corrispondente dell’Handelsblatt, giornale di riferimento degli industriali tedeschi, che aveva chiesto quanto sarà lunga la strada per arrivare a un’unione fiscale, e come l’Italia crede di allontanare le paure degli altri paesi. Nel suo articolo, il corrispondente tedesco in Italia ha commentato la posizione di Draghi scrivendo che la proposta del premier italiano arriva in un momento inopportuno. Secondo Wermke, Draghi non dovrebbe ripetere richieste irrealistiche come gli eurobond e il bilancio federale, ma concentrarsi «sulle riforme da fare nel suo Paese», giudicate molto più urgenti e necessarie degli eurobond.

«Con l’aiuto dei miliardi di Bruxelles, Draghi deve riuscire a digitalizzare e snellire l’amministrazione pubblica, rendere veloce ed efficiente la magistratura, e il paese più sostenibile e moderno. Questo è l’unico modo per attirare nuovi investitori; questo è l’unico modo per rendere più competitivo il sud del paese, e soprattutto: questo è l’unico modo per ridurre l’enorme montagna di debito italiano». 

L’investimento politico sul Recovery Fund non è lo stesso in tutta l’Unione

Se in Italia, Spagna e Francia il Recovery Fund viene visto come il primo passo verso la costruzione di un bilancio comune, a nord-est del Reno la stessa prospettiva è guardata con diffidenza e ostilità, il Ngeu è giudicato un’eccezione da archiviare il prima possibile. Da questo punto di vista, fa bene Draghi a essere chiaro: gli eurobond non arriveranno per caso, se l’obiettivo è fare dell’Ue un’unione fiscale dotata di un bilancio federale, bisogna dirlo apertamente e costruire il consenso per cambiare le costituzioni nazionali e i trattati comunitari. Il problema per l’Italia semmai è capire chi si farà carico dell’eredità politica di Draghi dopo il 2023. 

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