Alcune preoccupano per la capacità di “sfuggire” agli anticorpi indotti con il vaccino, altre per l’alterazione del tasso di contagiosità e, in generale, perché ogni mutazione necessita nuovi approfondimenti e rimescola le carte della conoscenza del Sars-CoV-2. Le varianti, in Italia, sono da tempo prevalenti rispetto ai primi ceppi del Coronavirus. Secondo la nuova indagine rapida condotta dall’Iss, dal ministero della Salute e dalla Fondazione Bruno Kessler, la cosiddetta “variante inglese” ha ormai raggiunto la prevalenza dell’86,7%. Nel precedente studio, la percentuale si fermava al 54%. Questa mutazione del virus oscilla tra le singole regioni per valori di prevalenza che vanno tra il 63,3% e il 100%.
La “variante inglese” è sotto l’attenzione delle autorità sanitarie di tutto il mondo, soprattutto per la sua elevata trasmissibilità. Questa variante è totalmente dominante in Valle d’Aosta e nella provincia di Trento, mentre in Lombardia ha raggiunto la prevalenza dell’89%. Per quanto riguarda la “variante brasiliana“, la prevalenza del 4,0%, rilevata nella precedente indagine, è rimasta pressoché invariata. Più che la contagiosità, questa mutazione allarma gli scienziati perché sembrerebbe in grado di eludere l’immunità derivante da una precedente infezione al Sars-CoV-2. La sua prevalenza in Italia incide particolarmente nel territorio umbro (al 32,0%), laziale (20,5%), ligure (13,6%), molisano (12,5%) e toscano (10%).
Per la sua resistenza ai vaccini, preoccupa la “variante sudafricana“. In Italia, la sua prevalenza è esigua ed è ulteriormente diminuita rispetto alla precedente indagine sulle varianti, passando dallo 0,4% allo 0,1%. Al momento è presente in Sardegna (4,8%), Veneto (0,6%) e Lombardia (0,3%). Infine, per la prima volta, la “variante nigeriana” appare nel report di Iss, ministero della Salute e Fondazione Kessler. Questa variante allarma per la mutazione E484K, la quale pare indebolire l’efficacia dei vaccini e permetterebbe al virus di eludere la barriera anticorpale. Ha una prevalenza rilevante nella provincia autonoma di Bolzano (13,3%). L’indagine ne ha rilevato la presenza anche in Sicilia (2,3%), in Veneto (1,9%), in Lombardia (1,0%) e in Toscana (1,0%).
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