«SanPa diffama nostro padre»: i figli di Vincenzo Muccioli querelano Netflix

Secondo gli eredi di Muccioli, la docu-serie restituisce una ricostruzione distorta e tendenziosa della comunità e del fondatore stesso

«Non era misogino né omosessuale. Non è vero nemmeno che sia morto a causa dell’Aids, infezione che avrebbe contratto a causa del suo stile di vita e dei suoi comportamenti privati. Tutti pettegolezzi falsi». Queste le accuse che Andrea e Giacomo Muccioli, figli di Vincenzo Muccioli, fondatore della comunità di San Patrignano e protagonista della docu-serie SanPa. Luci e tenebre a San Patrignano, hanno mosso a Netflix che, quindi, stando alla loro ricostruzione dei fatti, avrebbe raccontato una realtà che non esiste.


Cosa è successo

«I figli lamentano come si diffami l’immagine e la memoria di una persona scomparsa, un grande padre e un uomo che ha dedicato la sua esistenza al bene. Tutto ciò ha investito gravemente la vita dei nostri due assistiti», hanno spiegato i loro legali, Alessandro Catrani e Francesca Lotti. I figli Andrea e Giacomo «si sono trovati colpiti e feriti in quanto c’è di più prezioso: memoria, reputazione e onorabilità di un padre scomparso. Dalla messa in onda della fiction la loro vita privata e quella dei loro familiari è stata travolta, da continue domande, richieste da parte di amici e conoscenti sulla veridicità di quanto affermato nella docu-serie». Da qui l’idea di presentare una querela per diffamazione aggravata denunciando i produttori, gli autori e il regista di SanPa per aver inserito allusioni ritenute non vere e diffamatorie relative alla presunta morte per Aids del padre, che verrebbe ricondotta alla sua (altrettanto presunta) omosessualità.


La replica degli autori

Già nei mesi scorsi gli autori avevano risposto alle critiche sostenendo che l’obiettivo della serie era quello di raccontare una realtà complessa, tra luci e ombre, senza l’intento di compiacere né di denigrare nessuno. Ma la spiegazione pare non aver placato le acque, e così la disputa proseguirà in tribunale.

Foto in copertina: ANSA

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