Da Verona a Belgrado per il vaccino: «Prenotazione online. Chiamato dopo soli 4 giorni» – L’intervista

Gian Battista Turatta è uno dei tanti italiani che, in questi giorni, si sono recati in Serbia per vaccinarsi. Dopo il boom di richieste, l’ambasciata italiana ha messo le mani avanti: «Noi siamo esenti da ogni tipo di responsabilità»

La Serbia, ormai da alcuni giorni, ha aperto le porte del Paese a tutti coloro che vogliono vaccinarsi contro il Covid. La Mecca dei vaccini. Una buona notizia per gli italiani, considerata la vicinanza del nostro Paese alla Serbia, e alla luce di una campagna vaccinale che nel nostro Paese continua ad andare a rilento e che, allo stato attuale, non è riuscita a mettere in sicurezza nemmeno tutti gli over 80. Per questo motivo Gian Battista Turatta, 53 anni, imprenditore italiano, ha pensato bene di compilare il modulo online, messo a disposizione dalle autorità sanitarie serbe, e di attendere il suo turno. Dal momento in cui ha fatto richiesta, sono passati appena 4 giorni. Non credeva ai suoi occhi: «Ho riempito, con grande semplicità, questo modulo online e, dopo appena 4 giorni, mi hanno mandato un sms e una mail in cui mi spiegavano dovrei avrei dovuto recarmi. Sono organizzatissimi».


«Puoi andare anche se non sei prenotato»

Turatta, proprietario di un’azienda di depuratori fognari a Belgrado, ha compilato quel modulo insieme alla sua compagna. Ci hanno provato entrambi e ci sono riusciti: «A quel punto, visto che dovevo andare in Serbia per motivi di lavoro mi sono messo in macchina con la mia compagna e, insomma, sono scappato dal lockdown italiano, da Verona, e mi sono fatto vaccinare. Lei era stata prenotata il giorno prima, io quello dopo. Così mi sono presentato con lei, nel giorno in cui non risultava la mia prenotazione, e mi hanno fatto vaccinare lo stesso. “Nessun problema”, mi hanno detto. Erano in tanti ad essersi messi in coda senza nemmeno l’appuntamento».


Come funzionano le vaccinazioni in Serbia

Le vaccinazioni si svolgono con grande efficienza, ci spiega: «Una fila ordinata; davanti a me c’erano circa 5.000 persone, tutte distanziate, in un largo marciapiede. Ogni 2 minuti venivano vaccinate circa 50 persone. In un’ora e mezza avevo già ricevuto la mia dose, nonostante l’enorme flusso di persone tra italiani, ungheresi e tedeschi. Tutto organizzato, velocissimi. Abbiamo notato, tra l’altro, l’arrivo di diversi autobus, pieni di persone che probabilmente arrivavano dalle province. Un servizio di trasporto utile per chi, magari, non ha i mezzi per muoversi». Gian Battista e la sua compagna hanno ricevuto l’AstraZeneca, nonostante avessero espresso la preferenza per il Pfizer. Ma quest’ultimo, evidentemente, non erano disponibile in quel momento.

Prima di sottoporsi al vaccino, però, bisogna compilare un modulo, «anche in inglese, e sottoporsi a una veloce visita in cui i sanitari chiedevano a noi vaccinandi se avessimo problemi di salute». Una volta fatto il vaccino, che chiaramente dura appena un secondo, Gian Battista ha dovuto attendere circa «10 minuti per capire se si presentassero effetti collaterali. Ma nessuno, almeno fino a quando sono rimasto io, ha avuto problemi».

L’imprenditore avrebbe voluto vaccinarsi in Italia. «Prima di accettare il vaccino della Serbia avevo anche provato a chiedere al mio medico di base ma, nonostante i tanti problemi di salute – dal cuore al diabete – mi è stato detto che non ero tra le priorità del governo italiano. Insomma, non sono “fragile”, non avevo ancora diritto al vaccino, dovevo aspettare».

«Ti vaccino gratis, tu visiti la Serbia e spendi in hotel e ristoranti»

Gian Battista, dunque, è uno dei tanti italiani che, in questi giorni, ha approfittato di questa possibilità. Gli aspiranti vaccinandi dei Balcani, infatti, sono non solo imprenditori ma anche avvocati, liberi professionisti e studenti. Una forma di turismo vaccinale che pare stia funzionando, ci conferma Biagio Carrano, italiano che vive in Serbia (vaccinato con Pfizer): «L’idea del governo serbo – spiega – è quella di attirare quanta più gente possibile, investendo pochi euro a vaccino, per avere in cambio spese in ristoranti e pernottamenti». Oltre ad avere un incredibile ritorno d’immagine. Certo, la Serbia ha una popolazione di 7 milioni di persone contro i 60 milioni dell’Italia e non ha di certo la popolazione anziana del nostro Paese (la categoria più esposta al virus).

Come prenotare il vaccino in Serbia

Concretamente chi vuole seguire l’esempio dell’imprenditore e vuole vaccinarsi in Serbia cosa deve fare? La procedura è semplice, a parte la lingua. Come riporta il sito dell’ambasciata italiana a Belgrado, infatti, dall’11 gennaio anche i cittadini stranieri, con o senza permesso di soggiorno, possono vaccinarsi complicando un semplice questionario. Peccato che sia in lingua serba (dunque di difficile lettura per i cittadini italiani anche se, con l’uso di un traduttore online, tutto diventa più comprensibile).

Il vaccino è gratuito – si può scegliere tra Pfizer, Moderna, AstraZeneca ma anche il vaccino cinese e quello russo – e la somministrazione è effettuata unicamente presso strutture pubbliche. Non ci sono margini di manovra da parte dell’Ambasciata italiana «nell’indirizzare la richiesta della prenotazione». L’Ambasciata, tra l’altro, proprio nelle ultime ore, ha fatto sapere di essere «esente da ogni tipo di responsabilità per qualsiasi conseguenza derivante dall’effettuazione del vaccino in Serbia». Insomma mettono le mani avanti. Non si sa mai.

Infine, l’iscrizione online – come precisa al Corriere Radmila Selakovic, console della Serbia a Milano – non equivale a un appuntamento vero e proprio. «Quindi non basta compilare il modulo per assicurarsi il vaccino. Senza appuntamento è inutile partire, le frontiere sono chiuse e serve aver fissato la prenotazione», aggiunge. Peraltro, allo stato attuale, raggiungere la Serbia non sembra essere facile. Non ci sono voli diretti, bisogna fare scalo altrove, Budapest per esempio. O, come nel caso di Gian Battista, mettersi al volante della propria auto. Una traversata, un viaggio della speranza. Ma, forse, potrebbe valerne la pena.

Foto in copertina: EPA/GEORGI LICOVSKI

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