Il plasma iperimmune non funziona sui pazienti gravi. La conferma arriva dallo studio Tsunami

Il siero dei pazienti convalescenti non risulta efficace nei pazienti con forme gravi di Covid-19

A seguito della fase più critica della pandemia dovuta al nuovo Coronavirus in Italia, tra il marzo e l’aprile 2020, Aifa e Iss si sono fatte promotrici  di uno studio condotto in diversi centri ospedalieri con lo scopo di verificare la reale efficacia e sicurezza del plasma iperimmune. I risultati sono stati deludenti. Non si evincono benefici concreti rispetto ai pazienti trattati con terapie standard.


Il nome dell’esperimento è Tsunami, Transfusion of Convalescent Plasma for the Early Treatment of pneumonIa Due to SARSCoV2: a Multicenter Open Label Randomized Control Trial. A guidarlo Francesco Menichetti e il Cesare Perotti (IRCSS Fondazione Policlinico S. Matteo Pavia). Tsunami era stato oggetto di attenzione in diverse audizioni parlamentari, al Senato e alla Camera, suscitando molte speranze, anche se erano già emersi indizi scoraggianti su un trattamento associato per altro al potenziale emergere di varianti Covid.


Perché il plasma iperimmune non funziona?

Troviamo la trasfusione di plasma iperimmune in precedenza nel trattamento di Ebola nel 2014 e della Mers nel 2015. Solo che malattie e virus non sono uguali e comportano dinamiche diverse. Del resto, quando il trial Tsunami cominciò, non erano disponibili trattamenti accertati né vaccini contro la Covid. 

Il plasma iperimmune proviene da pazienti convalescenti ed è particolarmente ricco di anticorpi neutralizzanti. In teoria avrebbe potuto rivelarsi utile nel trattamento dei casi gravi di Covid-19. Difficile da reperire e trattare, rappresenta una forma di immunizzazione passiva. A differenza dei vaccini (immunità attiva), che suscitano nell’Organismo la produzione autonoma di anticorpi, il plasma iperimmune fornisce protezione solo al momento della trasfusione (immunità passiva).

Come è stato svolto lo studio Tsunami

Hanno partecipato allo studio 487 volontari (324 ricoverati in Toscana, 77 in Umbria, 66 in Lombardia e 20 in altre regioni). In totale hanno partecipato 27 centri clinici in tutto il territorio nazionale. I ricercatori hanno confrontato la trasfusione di plasma associata alla terapia standard, con un gruppo di controllo, dove i pazienti non ricevevano il plasma iperimmune.

Il risultato è stato disarmante: «non riduce rischio peggioramento respiratorio o morte per Covid», riporta Quotidiano Sanità. Al momento non è possibile leggere direttamente i dati in un paper. Non sono emersi dunque risultati significativi rispetto a chi riceveva i soli trattamenti standard, nei pazienti gravi che necessitavano ventilazione meccanica invasiva. Qualche risultato positivo c’è stato nei pazienti meno gravi. 

«Questo potrebbe suggerire l’opportunità di studiare ulteriormente il potenziale ruolo terapeutico del plasma nei soggetti con COVID lieve-moderato e nelle primissime fasi della malattia – continua Quotidiano Sanità – Il trattamento è risultato complessivamente ben tollerato, anche se gli eventi avversi sono risultati più frequenti nel gruppo che ha ricevuto il plasma».

Il New England Journal of Medicine, ha comunicato esiti simili nel novembre scorso, come riporta in una interessante analisi la Fondazione Veronesi. Troviamo anche uno studio del febbraio 2021.

Foto di copertina: Ansa/Andrea Canali | Lucio Larini, uno dei donatori, all’ospedale di Vizzolo Predabissi in occasione della presentazione del programma di donazione plasma iperimmune ottenuto grazie al prezioso contributo di donatori guariti e risultati idonei alla donazione, Vizzolo Predabissi, 3 Luglio 2020.

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