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Coronavirus. La cura col plasma funziona? Si, ma ci sono dei limiti e la ricerca continua

03 Maggio 2020 - 21:03 David Puente
Un'altra nota positiva nella lotta contro il Covid-19, ma non è affatto semplice come si pensa

Al numero Whatsapp 3518091911 giungono diverse richieste di verifica in merito a un messaggio riguardante una «cura miracolosa» contro il nuovo Coronavirus sperimentata presso l’ospedale di Mantova: l’uso del plasma dei pazienti guariti dal Covid-19.

Una delle segnalazioni Whatsapp con il messaggio relativo all’ospedale di Mantova.

Nella ricerca di un «farmaco miracoloso» per i pazienti Covid-19 si sta facendo strada in questi giorni la terapia basata sul plasma dei pazienti guariti, quelli che hanno gli anticorpi contro il nuovo Coronavirus. Risulta che, in data 21 aprile 2020 a Mantova, una paziente 28enne incinta era guarita grazie al plasma, ma di fronte alla bella notizia dobbiamo considerare i diversi pro e contro.

Wuhan, due medici donano il loro plasma per i pazienti Covid-19. Foto del 18 febbraio 2020.

Il messaggio Whatsapp

Il messaggio Whatsapp inizia così:

Ti do una buona notizia, certa, che è arrivata ufficialmente dall’ospedale di Mantova I morti per Covid-19 sono azzerati da quasi un mese. E viviamo in Lombardia, epicentro dell’epidemia. Ripeto AZZERATI. Anche soggetti quasi dati per spacciati, trasportati a Mantova sono guariti. Nessun miracolo, semplicemente a Mantova come sapete (e a Pavia) hanno utilizzato e testato il plasma iperimmune (ricavato dal sangue dei guariti). La fase di test è ultimata e la relazione che uscirà a breve sarà sorprendente.

Quindi la cura esisterebbe, e avrebbe costo quasi zero. Unico limite è che servono donatori, ma con la rete dell’Avis questo è possibile grazie anche all’opera di sensibilizzazione (a Mantova chi esce guarito dall’ospedale dona il sangue anche con piacere). Il noto virologo Burioni, quello che diceva che in Italia il pericolo era zero, ora va in tv (profumatamente pagato) a dire che il plasma ha un limite, e che sarebbe meglio un farmaco sintetizzato (chissà perché).

Nel messaggio viene poi riportato un post Facebook pubblicato dal Dott. Giuseppe De Donno dell’ospedale di Mantova:

Ecco la risposta del Dottor De Donno (pneumologo di Mantova):

Il Signor scienziato, quello che nonostante avesse detto che il Coronavirus non sarebbe mai arrivato in Italia, si è accorto in ritardo del plasma iperimmune.
Forse il Prof. non sa cosa è il test di neutralizzazione. Forse non conosce le metodiche di controllo del plasma. Visto che noi abbiamo il supporto di AVIS.
Glielo perdono. Io piccolo pneumologo di periferia. Io che non sono mai stato invitato da Fazio o da Vespa.
Ora, ci andrà lui a parlare di plasma iperimmune. Ed io e Franchini alzeremo le spalle, perchè….
Importante è salvare vite!
Buona vita, quindi, Prof. Burioni. Le abbiamo dato modo di discutere un altro po’. I miei pazienti ringraziano.
PS: vedo che si sta già arrovellando a come fare per trasformare una donazione democratica e gratuita in una “cosa” sintetizzata da una casa farmaceutica.
Non siamo mammalucchi!
Sempre vostro
Peppino
PS:condividetelo amici. Forse arriviamo al Prof. E gli potrò chiedere un autografo!
NB: se voi condividete il post, attenzione! La mia introduzione scompare. Rimane solo il panegirico del Prof! Facebook ci spieghi?

Il post del Dott. Giuseppe De Donno dell’ospedale di Mantova. [Nota in merito all’ultima parte: gli utenti possono scegliere l’opzione «Includi post originale», ma ciò risulta possibile da Desktop e non tramite App. L’oggetto della condivisione, per come funziona il social, è il link esterno e non il post che lo commenta]

Tecnica già nota

Non si tratta di una tecnica nuova, la notizia è che in alcuni ospedali tale terapia sarebbe stata eseguita con successo. Il dottor Massimo Franchini, ematologo e primario del centro trasfusioni dell’ospedale di Mantova, lo spiegava bene il 2 aprile 2020 mentre annuncia la sperimentazione presso la sua struttura:

“Il concetto di plasma convalescente – aggiunge – è in pista da 30 anni. Inoltre, nelle altre due epidemie da coronavirus, ovvero la Sars del 2002 e la Mers del 2012 è stato adoperato con successo; infine l’Organizzazione mondiale della sanità ne ammette l’utilizzo nel caso di malattie gravi per cui non ci sia un trattamento farmacologico efficace”.

Tra i primi ad utilizzarla per i pazienti Covid-19 erano stati i cinesi a Shangai, come avevamo riportato in un articolo del 18 febbraio 2020. Sempre da Shangai venne poi pubblicato un articolo, citato dall’Istituto Superiore di Sanità il 9 aprile 2020, dove viene riportata l’attività svolta su circa 147 pazienti. Un altro articolo, pubblicato nella rivista Cell, viene commentato così dall’ISS:

Al momento attuale, è evidente che in seguito a infezione naturale o sperimentale in modelli animali si sviluppano anticorpi policlonali in grado di neutralizzare il virus SARS-CoV-2. È in corso di consolidamento l’evidenza preliminare che la trasfusione di plasma da soggetti convalescenti a soggetti malati di SARS-CoV-2 possa avere una efficacia terapeutica. Va approfondito il ruolo degli anticorpi non neutralizzanti, che nel caso della SARS in alcuni casi hanno “stimolato” la replicazione virale. Tuttavia, risulta ancora difficile identificare le porzioni lineari o conformazionali bersaglio della proteina S, su cui impostare la produzione di anticorpi monoclonali a scopo terapeutico, su larga scala

Una sacca di plasma usata in Spagna. Foto del 24 aprile 2020.

In un articolo precedente di Open Fact-checking avevamo citato gli studi osservazionali sul plasma dei pazienti guariti, evidenziando però che al momento non sono conclusivi. Ecco l’estratto dello studio «Effect of Convalescent Plasma Therapy on Viral Shedding and Survival in COVID-19 Patients» dove si ritiene che il trattamento con il plasma può essere usata in pazienti in fase non critica e/o terminale:

Currently, the severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 (SARS-CoV-2) disease 2019 (COVID-19) has been reported in almost all countries globally, and no effective therapy has been documented for COVID-19 and the role of convalescent plasma therapy is unknown. In current study, 6 COVID-19 subjects with respiratory failure received convalescent plasma at a median of 21.5 days after first detection of viral shedding, all tested negative for SARS-CoV-2 RNA by 3 days after infusion, and 5 died eventually. In conclusion, convalescent plasma treatment can discontinue SARS-CoV-2 shedding but cannot reduce mortality in critically end-stage COVID-19 patients, and treatment should be initiated earlier.

La sperimentazione a Mantova e Pavia è iniziata da circa un mese e i medici che se ne stanno occupando sono molto fiduciosi, ma allo stesso tempo loro stessi hanno evidenziato gli «intoppi».

Una sacca di plasma da un donatore 0 Rh positivo negli Stati Uniti. Foto del 22 aprile 2020.

Criteri per i papabili pazienti

Non è una terapia per tutti, e fin qua nessun dubbio. Apprendiamo, ad esempio, che la donna incinta guarita a Mantova non rispondeva alle caratteristiche richieste per la somministrazione del plasma, come dichiarato dal direttore generale Raffaello Stradoni in un articolo della Gazzetta di Mantova del 3 maggio 2020 a seguito dell’interessamento del NAS:

Non so perché i Nas abbiano chiamato ma sono totalmente tranquillo. Il protocollo sulla sperimentazione è rigido e consente il trattamento solo su alcuni pazienti che devono avere certi criteri. So che la gestante in questione non rispondeva a queste caratteristiche, ma era molto grave e rischiavamo di perderla, per cui abbiamo somministrato la cura off-label, in ambito compassionevole e l’abbiamo salvata. Non mi risulta comunque che i carabinieri del Nas abbiano sequestrato le cartelle cliniche, hanno solo fato una telefonata

Situazioni particolari, ma quali sono i criteri? Lo stesso Dott. Giuseppe De Donno aveva pubblicato su Facebook un’immagine contenente i criteri per poter usufruirne e chi invece andrebbe escluso dal trattamento:

Criteri di esclusione:

– Diagnosi di ARDS moderata-grave da > 10 giorni;
– Pazienti con comprovata ipersensibilità o reazione allergica a emoderivati o immunoglobuline;
– Manifesta volontà di non rientrare nel protocollo di ricerca.

Quel che sappiamo, infatti, è che la terapia è stata eseguita su 52 pazienti «non ancora in rianimazione».

Individuazione dei donatori

Reperire il plasma adatto non risulta facile. Ecco quanto dichiarato, il 15 aprile 2020 sul Gazzettino di Mantova, dal dottor Massimo Franchini:

Il limite principale è individuare i donatori guariti e arruolabili. La seconda difficoltà è la complessità del progetto.

C’è dunque un bisogno di individuare il plasma idoneo, per fare ciò bisogna fare dei test come afferma sempre Franchini:

Eseguiamo circa 10 test al giorno per verificare la loro idoneità – precisa Massimo Franchini – e i risultati sono incoraggianti. Angelo donerà oggi 600 ml di plasma, dal quale saranno ricavate due dosi.

Bisogna affrontare anche il fatto che deve essere impiegato plasma ABO-compatibile con il paziente che lo deve ricevere, come riportato in questo schema pubblicato sul sito dell’Avis:

Ci sono tanti altri criteri di selezione che vedremo in seguito grazie a un Position Paper pubblicato ad aprile.

Sacca di plasma per la terapia, foto del 22 aprile 2020 dagli Stati Uniti.

La componente neutralizzante

Fausto Baldanti, direttore del Laboratorio Virologia IRCSS San Matteo di Pavia, in un’intervista rilasciata a Lombardia Notizie e pubblicata su Facebook il 2 maggio 2020 aveva spiegato altri limiti. Tra questi la componente neutralizzante che deve essere presente in quantità necessarie:

È quella componente che blocca l’infettività del virus. Questo ci serve per l’identificazione dei pazienti che hanno superato l’infezione e che possono avere nel loro plasma una quantità notevole di questi anticorpi, quindi diventare donatori di plasma per pazienti che sono ancora malati.

C’è un problema, non si sa quanto tempo queste persone possono mantenere un livello alto di anticorpi necessari:

Per poter dire se una persona, che ha contratto l’infezione, non si infetterà più con Covid dobbiamo conoscere molte cose. Una delle cose che dobbiamo conoscere è quanto dura la componente anticorpale nel tempo. Cioè, se io supero la malattia e sviluppo alti livelli di anticorpi neutralizzanti, questi alti livelli quanto durano? Per quanto risultano efficaci?

Da questo si presume che non ci sia la possibilità di una «riserva infinita» e che con il tempo a disposizione e le quantità che si possono donare bisognerà farne scorta, ma ne possiamo ricavare abbastanza?

Ne abbiamo abbastanza?

In un articolo del Gazzettino di Mantova del 15 aprile, il Dott. De Donno riportava il numero dei pazienti coinvolti all’epoca e il numero di infusioni, così come la percentuale dei casi con «ottimi risultati»:

Dal 23 marzo abbiamo effettuato 43 infusioni, che ci hanno permesso di trattare 25 pazienti. Una terapia che dà ottimi risultati nell’80 per cento dei casi

Angelo, il carabiniere citato da Franchini nell’articolo della Gazzetta di Mantova, aveva donato 600 ml di plasma a metà aprile dal quale si potevano ricavare due dosi (per la donna incinta si è parlato di due sacche utilizzate per curarla). Quante volte è possibile donare plasma? Sul sito dell’Avis leggiamo che attraverso la plasmaferesi – usata a Mantova per ricavare il necessario – può prelevare un volume massimo complessivo di 1,5 litri al mese:

Nel caso della plasmaferesi, il volume prelevato deve essere compreso tra un minimo di 600 ml e un massimo di 700 ml al netto dell’anticoagulante, con un volume massimo complessivo di 1,5 litri al mese e 12 litri nell’anno.

In questo momento di sperimentazione non si è in grado di conoscere quanti guariti possono essere ritenuti donatori. Fare semplici e banali calcoli matematici sulla base del numero dei guariti e dei contagiati risulterebbe scorretta.

I dati della situazione italiana in data 2 maggio 2020.

Il Position Paper

Le società scientifiche SIdEM (Società Italiana di Emaferesi e Manipolazione Cellulare) e SIMTI (Società Italiana di Medicina Trasfusionale e Immunoematologia) avevano pubblicato il 27 marzo 2020 un Position Paper sulla produzione di plasma iperimmune da utilizzare nella terapia del Covid-19. Nel documento troviamo parecchi dettagli sulla procedura, come ad esempio i requisiti dei donatori:

In questa fase l’attenzione alla possibile fonte di plasma iperimmune è rivolta a soggetti con recentissima documentata infezione da SARS-CoV-2 e che aderiscono volontariamente ed in maniera informata alla donazione mediante aferesi di plasma dedicato alla terapia delle infezioni complicate del SARS-CoV-2. Questo target di popolazione richiede alcune cautele perché si tratta di raccogliere un emocomponente con alcune deroghe rispetto agli standard definiti dai criteri di selezione di cui al DM 2.11.2015 e alle raccomandazioni di matrice comunitaria; tali deroghe possono riguardare l’età del donatore, un intervallo dalla guarigione clinica breve (inferiore al doppio del periodo di incubazione, come raccomandato dalla “Guida per la preparazione, l’uso e l’Assicurazione di qualità degli emocomponenti” edita dal Consiglio d’Europa – EDQM) e l’impiego per uso clinico di donatori non precedentemente testati e quindi senza una precedente storia di prelievi che ne qualifichi il profilo di sicurezza. Vanno invece rispettati gli altri criteri di selezione del donatore di cui al citato DM 2.11.2015, ed in particolare l’esclusione di soggetti sottoposti a terapia trasfusionale e/o con precedenti gravidanze.

Si prevede di procedere alla raccolta di plasma da soggetti guariti di recente da COVID-19 precedentemente ospedalizzati o paucisintomatici in quarantena fiduciaria a domicilio e sottoposti a sorveglianza attiva a seguito di test risultato positivo, purché con le seguenti caratteristiche:

– almeno 14 giorni dalla guarigione clinica (risoluzione dei sintomi) e dalla documentazione di negatività di due test NAT su tampone nasofaringeo e su plasma/siero effettuati a 24 ore uno dall’altro immediatamente prima della dimissione del paziente (se ospedalizzato);

– eventuale documentazione di negatività di un test NAT su tampone nasofaringeo e su plasma/siero a 14 giorni dalla guarigione (se in quarantena fiduciaria) (richiesta non comune a tutti i protocolli esaminati);

– un adeguato titolo sierico di anticorpi specifici (> 160 con metodica EIA o valore equivalente con altra metodica, sulla scorta di quanto pubblicato in altra casistica).

Uno spiraglio per l’aumento del numero dei possibili donatori è ben visto all’interno dei donatori abituali che siano risultati asintomatici:

In aggiunta a questi pazienti convalescenti, va considerato che già da ora ma più ancora col passare delle settimane è prevedibile l’aumento del numero di persone che hanno contratto la malattia in forma asintomatica o paucisintomatica e che ne sono guariti; fra questi certamente vi sono numerosi individui già appartenenti alla categoria dei donatori di sangue abituali, come sta a dimostrare il numero crescente di PDI che i servizi trasfusionali ricevono in questi giorni e che sono probabilmente attribuibili ad infezioni subcliniche o di lieve entità. Se nel loro siero il titolo di anticorpi specifici è > 160 con metodica EIA (o valore equivalente con altra metodica), queste persone rientrano a pieno titolo nella categoria di donatori utilizzabili per la produzione di plasma iperimmune perché

– già rispondono ai requisiti dei donatori abituali di sangue;

– dalla guarigione clinica della malattia è trascorso un tempo pari o superiore al doppio del periodo di incubazione (quindi almeno 28 gg), come raccomandato dalla “Guida per la preparazione, l’uso e l’Assicurazione di qualità degli emocomponenti” edita dal Consiglio d’Europa – EDQM.

Vengono riportati anche gli effetti indesiderati, questo in particolare:

Un altro rischio teorico (ipotizzato su modello animale) è che l’immunizzazione passiva legata alla somministrazione di anticorpi possa attenuare la risposta immunitaria lasciando tali soggetti vulnerabili alla successiva reinfezione. Questa possibilità dovrebbe essere ulteriormente studiata, valutando la risposta immunitaria nei soggetti esposti e trattati con “convalescent plasma” per “prevenire” la malattia

L’elenco degli effetti indesiderati.

Farmaci e case farmaceutiche?

Il Position Paper delle due società scientifiche riportano un’ulteriore considerazione in merito alla produzione di un farmaco sulla base della terapia con il plasma:

Qualora sia provata l’efficacia del prodotto, nel medio periodo la disponibilità di plasma iperimmune da donatori abituali guariti potrebbe in principio consentire l’applicazione di processi industriali di preparazione di prodotto di grado farmaceutico attraverso la costituzione di pool specifici da sottoporre a procedure di inattivazione con tecnica solvente e detergente, in modo da ottenere un prodotto standardizzato di grado farmaceutico, con caratteristiche di costanza e ripetibilità (almeno intra-lotto). Questo garantirebbe la produzione di plasma iperimmune a titolo noto e standard di anticorpi anti SARS-Cov-2. E’ raccomandabile un’interlocuzione in tal senso con le industrie farmaceutiche e con l’Agenzia Italiana del Farmaco, AIFA

Le case farmaceutiche sono già attive nella ricerca, come riportato in un articolo del 27 aprile 2020 pubblicato sul sito Osservatoriomalattierare.it dove leggiamo:

La dott.ssa De Silvestro e il suo team hanno instaurato una stretta collaborazione bidirezionale con i colleghi dell’Ospedale di Pavia, nell’intento di redigere un protocollo di studio sovrapponibile, sperando così di trattare un elevato numero di pazienti e, di conseguenza, di disporre di informazioni solide sulla validità di un approccio, quello del plasma iperimmune, che potrebbe rivelarsi utile anche nel (probabile) caso si ripresentassero altre epidemie.

A conferma di ciò, insieme al mondo universitario, anche quello farmaceutico si è mosso in questa direzione: da una parte, biotech come Biotest, Bio Products Laboratory (BPL), LFB e Octapharma si sono unite ad un’alleanza costituita da CSL Behring e Takeda, per lo sviluppo di una potenziale terapia di derivazione plasmatica per il trattamento della malattia COVID-19. Dall’altra, Kedrion Biopharma ha fornito ai centri trasfusionali di Mantova, Padova e Pisa, i dispositivi per il trattamento del plasma da soggetti convalescenti, così da poterlo inattivare viralmente e infondere in sicurezza nei pazienti in condizioni critiche. La stessa Kedrion ha inoltre siglato un accordo con Kamada per lo sviluppo di un’immunoglobulina policlonale plasma-derivata Anti-SARs-COV-2. Si tratta di importanti passi avanti per affilare la punta di una freccia terapeutica che tutti si augurano possa centrare in tempi brevi il suo bersaglio.

Kedrion, come leggiamo dal loro sito ufficiale, è «un’azienda internazionale che raccoglie e fraziona il plasma umano al fine di produrre e distribuire prodotti terapeutici plasmaderivati da utilizzare nel trattamento di malattie, patologie e condizioni gravi quali l’emofilia e le immunodeficienze».

La pagina «Chi siamo» di Kedrion, la società che ha fornito il necessario alla sperimentazione.

Nel sito di Kedrion leggiamo un comunicato del 7 aprile 2020 dove annuncia la donazione gratuita di attrezzature e kit per gli ospedali di Mantova e Pavia:

In attesa dell’avvio della produzione industriale sono molto positivi i risultati registrati dalla somministrazione di plasma iperimmune da convalescente a pazienti con COVID-19 in condizioni critiche effettuato da alcuni centri in Lombardia. In questi casi Kedrion Biopharma ha fornito e installato a tempo di record dispositivi capaci di trattare il plasma da soggetti COVID-19 convalescenti, inattivandolo viralmente in modo da poterlo infondere in sicurezza in pazienti in condizioni critiche. I centri trasfusionali di Mantova, Padova e Pisa hanno ricevuto gratuitamente la strumentazione per questa procedura, unitamente ai kit utili alla preparazione di circa 3.200 unità di plasma convalescente. I centri che hanno già a disposizione le macchine si stanno dotando dei kit necessari per l’inattivazione virale del plasma. Un protocollo clinico-sperimentale è stato già sviluppato dal Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale del San Matteo di Pavia in collaborazione con altre strutture come quelle di Lodi e Mantova, e dall’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova.

Infine:

Per aumentare la disponibilità di plasma da convalescente – principale alleato nella lotta a questa epidemia infettiva – Kedrion Biopharma metterà a disposizione del Servizio Trasfusionale Italiano le proprie tecnologie per realizzare l’inattivazione virale e i test aggiuntivi richiesti, incluso il titolo degli anticorpi totali e neutralizzanti specifici.

Il procedimento potrà essere effettuato presso lo stabilimento produttivo di Sant’Antimo (Napoli), dove il plasma da pazienti Covid-19 convalescenti verrà analizzato per la presenza di virus trasmissibili con il sangue e trattato con solvente/detergente (S/D) per eliminare qualsiasi virus. In un prossimo futuro, con la disponibilità presso i Servizi Trasfusionali di test per titolazione di anticorpi anti-SARS-CoV-2, potrebbe essere utilizzato anche il plasma di donatori COVID-19 asintomatici e divenuti negativi alla PCR.

«Perchè nessuno ne parla?»

Alcune testate giornalistiche, intorno al 25 aprile 2020, avevano pubblicato articoli sostenendo nei titoli che «la cura c’è ma non se ne parla» citando proprio il lavoro svolto a Mantova e Pavia. In realtà la sperimentazione era stata seguita.

C’è da dire che questa pratica era nota fin dagli inizi grazie alle notizie arrivate dalla Cina. Per quanto riguarda Mantova e Pavia se ne parlava a marzo 2020 come riportato da Repubblica nell’articolo intitolato «Coronavirus, plasma dei guariti per curarlo»:

Il 29 marzo 2020 ne parlò anche Burioni ospite da Fazio:

“Ci sono molte novità. Sembra sia stato fatto un passo avanti nella diagnostica, un’azienda statunitense serissima ha annunciato di avere a disposizione un test che viene fatto in 15 minuti. Un’altra notizia molto buona è legata” ad uno studio relativo “all’utilizzo del plasma dei guariti che può migliorare le condizioni di chi sta male”. Sono le parole di Roberto Burioni, ospite di Che tempo che fa.

“Prendere il sangue dai guariti non è semplice, ma significa che gli anticorpi dei guariti possono avere un effetto benefico: gli anticorpi monoclonali si possono produrre artificialmente e se il dato è confermato tra un anno e qualcosa avremo anticorpi monoclonali da somministrare. Inoltre, se il plasma ha effetto benefico e il dato è confermato, chi ha gli anticorpi avrebbe un certo grado di protezione”, prosegue.

In quel periodo la sperimentazione in Italia era ancora in fase embrionale, ma la vicenda è stata trattata con nuovi aggiornamenti in diversi articoli da marzo in avanti. Ad esempio, il 2 aprile 2020 era iniziata la vera e propria sperimentazione e si parlava dei primi concreti risultati per il mese di maggio. Ecco quanto riportato da Agi il 2 aprile:

Colloquio con il dottor Massimo Franchini, ematologo e primario del centro trasfusioni dell’ospedale della città: “I primi risultati, provvisori, arriveranno tra 20 giorni, quelli definitivi tra un mese. C’è speranza”.

Se ne torna a parlare in un articolo del 4 aprile di Repubblica con il racconto di uno dei primi pazienti trattati con il protocollo di Pavia:

Repubblica ne parlava il 4 aprile 2020

Il 25 aprile i risultati potevano essere quelli provvisori, come spiegato in precedenza da Franchini, mentre qualcosa di concreto era atteso per maggio 2020. Risultati che erano stati sbandierati dalla Gazzetta di Mantova il 29 aprile 2020:

Si è conclusa la prima sperimentazione sull’utilizzo del cosiddetto plasma convalescente nei pazienti critici affetti da Covid-19. Lo studio, condotto dal Poma assieme al Policlinico San Matteo di Pavia a partire da marzo, ha visto il coinvolgimento di varie strutture dell’ospedale di Mantova: Immunoematologia e medicina trasfusionale, diretta da Massimo Franchini; Pneumologia, diretta da Giuseppe De Donno; Medicina di laboratorio, diretta da Beatrice Caruso e Malattie infettive, diretta da Salvatore Casari. Attualmente è in corso l’analisi dei dati che in seguito saranno pubblicati.

La sperimentazione non si è affatto conclusa. In un articolo del primo maggio 2020 de La Provincia Pavese vengono riportate le dichiarazioni di Cesare Perotti, direttore del servizio di Immunoematologia del San Matteo di Pavia:

Il protocollo è stato predisposto dal servizio di Immunoematologia e Medicina trasfusionale del San Matteo, in collaborazione con le strutture di Mantova e Lodi, nonchè dall’Azienda ospedaliera universitaria di Padova e da pochissimo anche Novara. La sperimentazione porta la firma di Cesare Perotti direttore del servizio di Immunoematologia. Che, a studio ultimato, attende di pubblicarne a breve i risultati. E si prepara ad un’altra sperimentazione, passando da 52 a 150 pazienti.

Nell’intervista rilasciata da Perotti dichiara di non poter dire quanti pazienti sui 52 trattati sono guariti attraverso il protocollo, informazione che verrà riportata quanto verranno resi noti i risultati della prima fase di sperimentazione:

E quante sono guarite?
«Fino al momento della pubblicazione non possiamo dirlo, ma diciamo che si è rivelata efficace».

L’intervento dell’Avis

Il Presidente di AVIS Nazionale, Gianpietro Briola, è intervenuto pubblicamente il 2 maggio 2020 con una lettera aperta pubblicata sul sito ufficiale Avis.it:

A seguito di messaggi che circolano nelle ultime ore su WhatsApp e Facebook, si vuole precisare e ribadire quanto già evidenziato relativamente alla terapia con plasma iperimmune contro il Covid-19.

Si è dimostrato che in molti casi il plasma è efficace per gli anticorpi presenti nei soggetti guariti, ma con il plasma prelevato si somministrano anche sostanze non necessarie per il trattamento di determinate patologie. Quindi, rappresenta una terapia sperimentale ed emergenziale già nota per altre malattie.

Serve ora capire quali sono gli anticorpi efficaci, isolarli, purificarli e poi somministrare solo quelli in dose controllata e farmacologica. Come avviene per le immunoglobuline antitetaniche, ad esempio.

È comunque importante sottolineare che questo approccio ha dimostrato che il plasma contiene degli elementi che funzionano contro il virus e lo neutralizzano.

AVIS, insieme al mondo scientifico e al Centro Nazionale Sangue, sta seguendo con molta attenzione l’evoluzione e si sta adoperando per studiare queste opportunità. Al momento, però, è importante mantenere la calma e informarsi sempre attraverso fonti attendibili e non creare false aspettative.

Appena conosceremo il test che meglio è in grado di rilevare e dosare questi specifici anticorpi e non appena le aziende di plasmaderivazione saranno in grado di produrre le immunoglobuline specifiche, coinvolgeremo la generosità dei donatori per la plasmaferesi

Il 17 aprile 2020 parlava anche di un uso sperimentale e temporaneo del plasma:

Tutto questo ribadendo ancora una volta un concetto fondamentale: «L’utilizzo del plasma dei pazienti convalescenti è una terapia che si sta adottando in questo momento, ma che è sperimentale e temporanea, vista la carenza di altre strategie ad oggi inesistenti. Già in passato era avvenuto per contrastare altre malattie come Ebola, ma non potrà essere usata per sempre e per tutti i malati».

Conclusioni

C’è tanta positività nell’ambiente scientifico per questa terapia di cura, vista di buon occhio fin dagli inizi dell’epidemia (ormai pandemia). Purtroppo ci sono parecchi ostacoli, ma se la comunità scientifica collaborerà si arriverà presto a una soluzione concreta in attesa del vaccino (che servirà a prevenire).

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