Coronavirus, la metà degli americani ha ricevuto almeno una dose di vaccino. In Perù record di morti e contagi dopo le elezioni

In totale, oltre 131 milioni di americani hanno ricevuto almeno una inoculazione. Anthony Fauci prevede che entro venerdì prossimo sarà presa una decisione su Johnson & Johnson e ipotizza che esso tornerà sul mercato accompagnato da restrizioni o avvertenze

USA

EPA/CJ GUNTHER

Il 32% della popolazione è pienamente immunizzato

Negli Stati Uniti la campagna vaccinale prosegue a ritmi serrati. A oggi, oltre la metà degli adulti americani ha ricevuto almeno una dose di vaccino contro il Coronavirus, stando ai dati ufficiali dell’agenzia federale statunitense per la protezione della salute (Centers for Disease Control and Prevention). Il 50,4% delle persone con un’età superiore ai 18 anni è parzialmente immunizzato e il 32% ha fatto anche il richiamo, dunque è interamente vaccinato e protetto contro Il Covid, una cifra che sale al 65,9% per gli over 65. In totale oltre 131,2 milioni di americani hanno ricevuto almeno una somministrazione di vaccino anti-Covid negli Usa.


EPA/SUSAN WALSH / POOL

Intanto, Anthony Fauci, il direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases e consulente medico della Casa Bianca per l’emergenza Covid, sostiene che entro venerdì prossimo sarà presa una decisione sul vaccino Johnson & Johnson, dopo che è stato bloccato per alcuni casi sospetti, e prevede che il preparato tornerà sul mercato accompagnato da alcune restrizioni, o almeno qualche avvertenza rispetto all’utilizzo. «Non voglio anticipare il Cdc o la Fda (Food and Drug administration) e la commissione di esperti – ha detto alla Cnn – ma immaginerei che quello che verrà detto è questo: che Johnson & Johnson tornerà con delle avvertenze o con restrizioni».


PERù

EPA/John Reyes

Picco di vittime e nuovi positivi: riparte il lockdown domenicale

Il numero delle vittime legate al Coronavirus in Perù ha superato per la prima volta le 400 nell’ultima giornata. Il record di morti nel Paese si è verificato pochi giorni dopo le elezioni che il governo non ha voluto far slittare malgrado gli alti numeri dell’epidemia, attribuibili in particolare alla variante brasiliana. Stando a quanto comunicato dal ministero della Salute peruviano, nelle ultime 24 ore sono stati registrati 433 morti, dato che porta il bilancio totale dei decessi a 57.230 in 13 mesi di pandemia. Quanto ai nuovi positivi, nell’ultima rilevazione se ne contano 7.131, cifra che porta il totale a 1.704.757. Il Perù è alla sua seconda ondata di epidemia con numeri che stanno mettendo sotto forte pressione le strutture ospedaliere del Paese, ormai costrette a operare oltre i limiti delle loro capacità. Al momento, ci sono circa 15.000 pazienti ricoverati, di cui oltre 2.600 in terapia intensiva. Ad aggravare ulteriormente la situazione il fatto che le riserve di ossigeno siano in molti casi esaurite e la campagna di vaccinazione proceda molto a rilento.

Il lockdown nei territori peruviani era stato sospeso per consentire lo svolgimento della campagna elettorale e poi delle elezioni, lo scorso 11 aprile. Prima che si tenesse il voto, tutti i 18 candidati hanno tenuto diversi comizi davanti a centinaia di persone. Occasioni di contagio che hanno sicuramente peggiorato la situazione. Per contenere la nuova impennata di contagi, le autorità hanno deciso che a partire dal 25 aprile sarà ripristinato il lockdown domenicale obbligatorio a Lima e in 41 delle 196 province peruviane, soprattutto nella regione andina e sulla costa del Pacifico. Va inoltre segnalato che le operazioni di voto non si sono ancora concluse: il 6 giugno si terrà il ballottaggio tra i due candidati che hanno vinto il primo turno: Pedro Castillo, candidato della sinistra radicale, e Keiko Fujimori, rappresentante della destra populista.

ARGENTINA

EPA/Juan Ignacio Roncoroni

Il tribunale di Buenos Aires boccia la chiusura scuole

In Argentina, un tribunale di Buenos Aires si è pronunciato contro la sospensione delle lezioni in presenza negli istituti scolastici, uno stop totale che era stato disposto da un decreto presidenziale nel tentativo di contenere i contagi da Coronavirus. La causa non va ricercata tanto nelle polemiche per l’interruzione delle lezioni in presenza degli studenti, ma piuttosto in ragioni legate al principio di autonomia. Il tribunale ha ritenuto che il decreto «indebolirebbe direttamente l’autonomia della città di Buenos Aires e il suo potere di polizia», una tesi condivisa dalle organizzazioni dei genitori sostenute da Horacio Rodriguez Larreta, sindaco della capitale e oppositore del presidente Alberto Fernandez.

«La giustizia di Buenos Aires, giurisdizione locale, pretende di sospendere un provvedimento sanitario del governo nazionale – ha scritto su twitter il ministro della Giustizia, Martin Soria – ma è manifestamente incompetente per risolvere i problemi federali. Questo imbroglio legale ha una sola spiegazione, ed è politica». «Il pubblico ministero – ha proseguito – i giudici e il governo della città devono assumersi la responsabilità delle conseguenze di questa decisione sulla salute». Tra gli altri provvedimenti sanitari, il presidente Fernandez aveva annunciato la scorsa settimana la sospensione delle lezioni in presenza per due settimane, a Buenos Aires e periferia, dove vive un terzo dei 45 milioni di argentini.

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