«Vi raccontiamo la generazione 1.600 euro: i trentenni italiani sovra-formati e sotto-retribuiti» – La lettera

Troppo spesso in Italia la generazione dei nati negli anni Ottanta fatica a uscire dalla povertà, anche lavorando a tempo pieno, anche quando si è in due

Caro Open, scriviamo questa lettera a seguito dell’articolo pubblicato il 29 aprile, in relazione all’ipotesi secondo cui il governo Draghi starebbe pensando di concedere a persone under 35 una garanzia per l’acquisto della prima casa con un mutuo pari al 100% del valore dell’immobile. L’articolo si apre con un’importante considerazione secondo cui negli anni Sessanta una persona poteva mediamente comprare casa impegnando per vent’anni metà del proprio stipendio; mentre oggi, a un giovane che guadagna 1.600 euro netti al mese servirebbero mediamente 41 anni per garantirsi la prima casa di proprietà. Ma esistono realmente under 35 che guadagnano almeno 1.600 euro netti al mese? Magari con un contratto stabile? Abbiamo provato a ricostruire la condizione di amiche e amici più stretti, chiedendoci quanto la proposta del presidente del Consiglio possa realmente sostenere la scelta di qualcuna/o di noi di acquistare la prima casa.


F. ha due lauree e ha scelto di insegnare nelle scuole secondarie, ma nonostante la scuola di abilitazione e un paio di concorsi pubblici è ancora precaria; vive con il compagno, che ha un contratto stabile da un anno, nella casa di proprietà dei genitori di lei. Anche D. ha due lauree e fa l’insegnante, a breve si sposerà e andrà a vivere nella casa della sua futura moglie. M. ha due lauree, insegna alle elementari in una scuola paritaria e benché la sua competenza non sia inferiore a quelle delle colleghe che lavorano nel pubblico, il suo stipendio – a parità di impegno – è inferiore; vive con il compagno nella casa della nonna di lui.


U. ha una laurea magistrale e un master, fa la segretaria presso una fondazione museale, ha fatto un mutuo per comprare una casa grazie al supporto della famiglia e riesce a sostenere le spese solo grazie al contributo del compagno con cui convive. S. ha una laurea magistrale, due master e diversi corsi di formazione; vive da sola in affitto in un appartamento di 60 metri quadri che paga 500 euro al mese; lavora come coordinatrice nel sociale e, nonostante il contratto indeterminato, non sa per quanto tempo il suo lavoro sarà garantito. Anche F. ha una laurea magistrale, un master e diversi corsi di formazione; lavora nel sociale con un contratto part-time e per l’altra metà del tempo è freelance: al momento sta funzionando bene, ma con che prospettive potrebbe accendere un mutuo per la prima casa non potendo contare sulla continuità del lavoro in libera professione, rispetto al quale non ha alcuna tutela? F. convive con la sua compagna nella casa di proprietà dai genitori di lei. Mentre conclude la terza laurea per poter svolgere l’attività di consulenza per la quale si è formata, P. lavora part-time in un luogo in cui le viene chiesto di dimostrare il proprio attaccamento all’ente lavorando gratis; anche lei vive nella casa della nonna.

Potremmo continuare così per diverse pagine, ma può bastare. Il punto è che nessuna/o di noi ha uno stipendio netto pari o superiore a 1.600 euro, e avendo più di 30 anni, se accendessimo un mutuo oggi, a che età potremmo pensare di estinguere il debito? 75/80 anni? Giusto in tempo per il trasferimento in casa di riposo. Troppo spesso in Italia la nostra generazione fatica a uscire dalla povertà, anche lavorando a tempo pieno, anche quando si è in due; sembra che l’unico vero requisito che permette alle persone e alle coppie di raggiungere uno stile di vita medio-basso (che per capirci prevede la possibilità di fare le vacanze estive ma mette in seria difficoltà davanti alla prospettiva di cambiare automobile) sia la possibilità di beneficiare di una casa di famiglia, andando così a liberare il salario dal costo dell’abitare.

La generazione nata negli anni Ottanta ha iniziato a muoversi nel mondo del lavoro a partire dai primi anni Duemila e si sta confrontando con la seconda crisi economica in 15 anni; lavoratrici e lavoratori sovra-formati e sotto-retribuiti a cui la battuta “tanto voi non andrete mai in pensione” comincia a non far più così ridere. Persone che hanno conosciuto lavori precari e flessibili e hanno scoperto sulla propria pelle come queste parole siano solo sinonimi di insicurezza economica; lavoratori e lavoratrici che nel migliore dei casi possono scegliere tra un lavoro a basso salario in grado di offrire garanzie minime di tutela o lavori con salari medi a totale discapito di ogni forma di garanzia del lavoro.

Ci piacerebbe che il governo iniziasse a pensare alle persone della nostra età come a persone adulte, che necessitano di un riconoscimento, in primis economico, delle proprie competenze e del proprio lavoro. Perché solo attraverso politiche del lavoro che garantiscano una giusta retribuzione e il superamento del precariato, combinate ad adeguati strumenti di welfare, potremo vivere e agire da persone adulte: programmare il futuro, accendere mutui, creare nuove famiglie, comprare casa e, perché no, magari anche fare impresa. Abbiamo idee e competenze, energie e coraggio. Quello che manca è un sistema economico che ci permetta di lavorare bene.
L’accesso al credito è un tema importante, ma non può essere anteposto alla creazione delle condizioni affinché si possa anche solo pensare di affrontare l’investimento, seppur tanto desiderato, dell’acquisto della prima casa.

Questo intervento non intende contestare in modo sterile la proposta del governo, ma vuole fare una richiesta politica concreta: chiediamo alla classe dirigente di ricordare che le statistiche non sono numeri, ma vite. Ogni politica pensata per il nostro futuro deve partire dall’analisi della situazione reale in cui vive la stragrande maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici della nostra generazione. Ogni intervento che non tenga conto di questo dato di realtà agisce la volontà di preservare le disuguaglianze economiche e sociali che si sono cristallizzate negli ultimi 20 anni nel nostro paese, offrendo ancora una volta garanzie e politiche a coloro a cui molto probabilmente nemmeno servono; trascurando e penalizzando il mondo del lavoro reale.

Linda F.
Giuditta S.
Francesca U.
Alberto D.
Daniela P.
Paola M.
Anna F.

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