Camihawke, nel suo primo romanzo l’elogio dello sbaglio: «Solo con l’errore capiamo davvero cosa è giusto per noi» – L’intervista

Camilla Boniardi, sui social Camihawke, esordisce con “Per tutto il resto dei miei sbagli”, il suo primo libro

Biografie, racconti del dietro le quinte, aneddoti del passato, progetti per il futuro. E a volte perfino disegni da colorare, fumetti o adesivi da attaccare sul diario. Da quando i social sono diventati un fenomeno di massa i libri degli influencer, o content creator, sono diventati un piccolo genere letterario. Veloci da scrivere, ancora più veloci da vendere. E magari ottimi anche per riempire le librerie con i meet and greet tanto aspettati dai fan. Uno schema che Camilla Boniardi, conosciuta su Instagram come Camihawke, ha deciso di spezzare. Per tutto il resto dei miei sbagli è il suo primo libro. Scritto in due anni, pubblicato da Mondadori, non è una biografia ma un romanzo. È la storia di una ragazza, Marta. E soprattutto è la storia dei suoi errori e di tutti gli errori commessi dai protagonisti di questo libro. Una storia che ha alcuni tratti in comune con Camilla ma ne ha anche tanti diversi. Qui sotto potete trovare un estratto dell’intervista che abbiamo fatto con lei su Open_Talk, il nostro canale su Twitch.


Sul tuo profilo Instagram la saga del tuo romanzo è diventata quasi un meme. Ci sono voluti due anni per scriverlo. Perché ti sei imbarcata in questa impresa?


«Se devo dare una risposta seria, ho deciso di scriverlo perché ho sentito l’esigenza di cambiare registro. Non volevo annullare tutto quello che ho fatto sui social ma volevo provare un tipo di comunicazione che avesse bisogno di più tempo, sia per essere scritta che per essere letta. Forse è per questo che ho iniziato a scriverlo, per la volontà di fare qualcosa di diverso».

Molti content creator scrivono biografie. Perché tu hai scelto un romanzo?

«L’ho trovato più semplice. Un romanzo espone meno il fianco alla tua sfera privata. Scrivere qualcosa che ti riguarda in prima persona è una scelta pericolosa. Volevo che gli altri si appassionassero a una storia, non la mia».

Ti ricordi quale è stata la prima pagina che hai scritto?

«La prima pagina che ho scritto è stata la prima del libro. Sono molto metodica. La mia editor all’epoca quando ci siamo incontrate per la prima volta mi ha detto che se non volevo partire proprio dall’inizio, avrei potuto farlo da metà, per poi tornare all’inizio. Guai. Per me era una follia. L’idea di partire da metà mi dava ai matti. Sono partita dal primo capitolo, anche se poi ho riscritto tutte le prime parti del libro».

La protagonista del tuo libro si chiama Marta. E la prima caratteristica con cui la presenti è quella di essere una ragazza insicura. Quanto c’è di te in lei?

«Quello che più mi accomuna a Marta è il senso di spaesamento che lei prova in uno specifico momento della vita: quello dei 25 anni. Si esce da un percorso di studi, si conosce tanta teoria ma in qualche modo si è incapaci di fare qualsiasi cosa dal punto di vista pratico».

C’era un motivo particolare per cui ti sentivi così spaesata?

«Sentivo di non avere una vocazione specifica. Sentivo di non essere nata con il fuoco del giornalismo, della giurisprudenza o della medicina. Non avevo un talento in qualcosa e neanche una passione in qualcosa di specifico. Mi piaceva fare tante cose, mi sembrava di saperle fare tutte abbastanza bene, a differenza di tanti miei amici che avevano le idee più chiare. All’università alla fine avevo scelto di fare Giurisprudenza.

Avevo una compagna di università che voleva fare il magistrato e adesso si trova su quella strada, un’altra voleva fare l’avvocato e ora sta facendo proprio quello. Erano tutte molte convinte. Ho attraversato una fase di grande incertezza perché questo spaesamento lo vedevo come un problema mio. Con il senno di poi ora capisco che non è un problema mio. Spesso ho parlato delle ricerche sulle persone multipotenziali: sono persone che vivono male il fatto di amare tante cose e si sentono poco concrete per questo».

Quando hai capito che Giurisprudenza non era la tua strada e che avresti preferito un lavoro nel mondo della comunicazione?

«Purtroppo è successo quando mi ero già laureata. Se l’avessi capito prima avrei fatto meno fatica. Quando mi sono laureata avevo già messo un piedino in questo mondo. Negli ultimi quattro anni dell’università mi ero rassegnata all’idea di dover trovare qualcosa in quel calderone. Mi piaceva molto il diritto processuale penale minorile, su cui ho fatto la tesi di laurea, quello sarebbe stato il settore in cui impiegare le mie forze. Dopo ho iniziato a fare altro, qualcosa in cui mi sentivo brava, a differenza di giurisprudenza in cui prendevo ottimo voti ma me li sudavo sempre».

Il romanzo si chiama Per tutto il resto dei miei sbagli. Perché hai dedicato un libro agli errori?

«Volevo dare un riscatto all’errore. Nella vita è molto utile perché solo sbagliando abbiamo gli elementi per capire cosa è giusto per noi. Finché non attraversiamo delle esperienze che ci permettono di fissare dei paletti, siamo davanti a un campo sterrato. Sbagliando mettiamo questi paletti e il campo diventa un sentiero. Certo, gli sbagli ci fanno soffrire ma il dolore è necessario per cogliere dopo i momenti felici».

Quattro domande sugli sbagli. Lo sbaglio più grande che hai fatto.

«Lo ammetto. Ho preso Charmander su Pokémon Rosso. Ho scoperto da una serie di statistiche che invece che la scelta migliore è Squirtle».

Lo sbaglio che sei contenta di aver fatto.

«Non essere entrata a Medicina, adesso probabilmente avrei il camice e farei tutt’altro».

Lo sbaglio che avresti potuto non fare.

«La mia vita è un continuo sbaglio che avrei potuto non fare. Oggi sono andata in via Mecenate in macchina, ci ho messo 50 minuti».

Lo sbaglio che consigli di fare.

«Di scherzosi potrebbero essercene mille. Tipo: scegliete un gusto di gelato alla frutta, così sapete quello che vi perdete con i gusti alla crema. Invece se devo dare un consiglio serio, è quello di provare relazioni amorose anche con persone diverse per capire quale è davvero adatta a voi».

Ultima domanda. Hai dedicato il tuo libro a tua nonna Etta. Perché proprio lei tra i tanti cari a cui potevi lasciare questa dedica?

«Ci sono tantissime ragioni. Mia nonna era un’insegnante di italiano. È stata la mia prima maestra, la grammatica l’ho imparata da lei durante le vacanze. È sempre stata una grande lettrice, mi ha trasmesso amore per la scrittura. La mia community la consoceva bene. Negli ultimi anni si è ammalata di Alzheimer. Ha perso un po’ di quello che era la mia nonna. È venuta a mancare l’anno della pandemia e ho avuto il rimpianto che non abbia potuto leggere il libro. Così glielo ho voluto dedicare».

Lasciatemi sbagliare – La puntata completa

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