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«Io sono Giorgia»: così due dj, un club Lgbtq+ friendly e Tommaso Zorzi hanno ispirato il libro-manifesto di Meloni

13 Maggio 2021 - 09:48 Felice Florio
Un boomerang comunicativo. Le critiche nei confronti della leader di Fratelli d'Italia per le sue posizioni sulla famiglia tradizionale diventano un successo pop. E poi la struttura portante del suo libro

Si stava avvicinando l’ultimo Natale senza restrizioni, cosa fosse il Coronavirus lo sapevano soltanto i virologi. Era il 26 ottobre 2019, una settimana esatta dopo il grande comizio dei leader del centrodestra unito in Piazza San Giovanni, a Roma, in cui quasi 200mila persone ascoltarono i discorsi di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Un numero importante, ma irrisorio rispetto alla platea di persone che avrebbero ascoltato le parole della leader di Fratelli d’Italia, remixate in musica house da due impiegati milanesi che per hobby fanno i dj. Quel brano si chiamava Io sono Giorgia, stesso titolo che la leader di FdI ha scelto di dare, un anno e mezzo dopo, alla sua prima autobiografia.

Il duo Mem & J fece ascoltare il pezzo alle 2.30 di sabato 26 ottobre al pubblico del Toilet, club Lgbtq friendly milanese, frequentato spesso dai due ragazzi. Quello stesso giorno, ci fu l’upload su YouTube. Ma è la domenica successiva, quando l’influencer Tommaso Zorzi, alfiere della comunità Lgbtq italiana, ricondivise il video, che quel Io sono Giorgia cominciò a riecheggiare su tutti gli smartphone del Paese. Quell’opera di taglia e cuci del comizio di Meloni aveva l’intento di ribaltare il messaggio in difesa della famiglia tradizionale, rendendolo uno slogan musicale dei diritti degli omosessuali. Sotto le movenze ripetute in loop della leader di destra sul palco di San Giovanni, la sua voce, in synth, cantava: noi siamo lgbt / difenderemo la nostra identità.

Erano gli ultimi mesi di vita pre-pandemica. Io sono Giorgia / sono una donna / sono una madre / sono cristiana rimbalzava dagli altoparlanti dei bar, delle discoteche affollate durante le festività natalizie. I meme, condivisi su Instagram con gli hashtag #iosonogiorgia, spopolavano. Su TikTok, la #iosonogiorgiachallenge, sfida in cui i giovani inventavano balletti su quel brano, raggiungeva milioni di visualizzazioni. E su YouTube, il video caricato da Mem & J macinava oltre 11 milioni di visite. Un comizio politico era diventato la hit della stagione invernale. Un unicum nella storia della discografia italiana.

Effetto boomerang, Meloni: «Quella musica mi trasformò da noioso esponente politico a curioso fenomeno pop»

Quell’operazione di sberleffo comunicativo, un’alchimia di musica house e trash social, si rivelò, però, un boomerang. L’opera dei «creatori di musica tamarra, trash, fatta da gente che non sa cantare», come si definiscono Mem & J, spinta da Zorzi sui social, ha trasformato un’esponente della destra in un’icona pop. La critica del contenuto politico, ovvero «girare il comizio in chiave ironica in un discorso a favore della comunità lgbt», si è dissolta nella dipendenza dal meme fine a se stessa. Ogni volta che la canzone veniva riprodotta in tv, sui social, nei contesti più disparati, la valutazione politica del contenuto si affievoliva. E la hit è diventata fine a se stessa. Anzi, fine alla popolarità di Meloni.

Al punto che la segretaria di Fratelli d’Italia ha deciso di intitolare il suo libro – pubblicato l’11 maggio con Rizzoli – Io sono Giorgia. No, non è una coincidenza ed è la stessa Meloni a spiegarlo nell’introduzione al suo memoir: «Quel curioso connubio tra comizio e musica da discoteca, con tanto di balletto montato ad arte, spiccò il volo nelle visualizzazioni rendendomi popolarissima, soprattutto tra i nati dopo il 2000. Quella che doveva essere un’arma contro le mie idee era diventata, per paradosso, un potentissimo amplificatore per propagarle. E di colpo mi aveva trasformato da noioso esponente politico a curioso fenomeno pop. È stato quel pezzo la ragione per la quale mi sono convinta a scrivere questo libro. Da allora ho visto troppa gente parlare di me e delle mie idee per non rendermi conto di quanto io e la mia vita siamo in realtà distanti dal racconto che se ne fa. E ho deciso di aprirmi, di raccontare in prima persona chi sono, in cosa credo, e come sono arrivata fin qui».

Non è solo il titolo, poi, a prendere ispirazione dal successo musicale. È tutta la struttura dell’autobiografia a seguire lo scheletro del tormentone. Primo capitolo: Io sono Giorgia. Secondo: Sono una donna. Terzo: Sono una madre. Quarto – un aggiunta rispetto al refrain -: Sono di destra. Quinto: Sono cristiana. Sesto – anche questo un plus rispetto alle parole della hit -: Sono italiana. C’è anche un terzo livello di simbiosi tra il libro e quell’alchimia di musica, social e trash che ha avvicinato Meloni ai giovani. La scelta – sapiente – dei temi e dello stile di scrittura ricorda la più popolare delle storie che si potrebbero ascoltare al Grande Fratello, mentre gli aforismi sembrano costruiti per essere instagrammati. Didascalie per un perfetto post acchiappalike.

Ma mentire a te stesso non fa bene: devi sempre avere il coraggio di dirti la verità. Anche quando sbagli. Perché puoi sbagliare, certo, ma devi esserne consapevole, te ne devi assumere la responsabilità.

Io sono Giorgia, Rizzoli

A livello di contenuti, poi, c’è tutto l’ensamble ideale per vincere un reality show: l’infanzia dura, il bullismo, l’abbandono del padre, il ricordo del cane menomato, la parabola dal quartiere popolare ai luccichii di Montecitorio, la difficoltà di conciliare ruolo di mamma e lavoro. Sia chiaro, nessuno mette in dubbio che sia tutto vero ciò che Meloni racconta, ma la narrazione struggente di queste vicende personali fa sì che il personaggio politico si diluisca in una persona “come tutte le altre”, che il portato ideologico di una singola forza politica si confonda nella sfera valoriale dell’intera umanità. La leader di Fratelli d’Italia ha studiato l’operazione fatta su di lei da Mem & J e Zorzi, si è appropriata dei loro linguaggi e, anziché combatterli, ha piegato la sua azione politica allo zeitgeist del decennio in cui rilevanza pubblica e numero di follower sono diventati simbiotici.

Spiegai – nel comizio del 19 ottobre – che tutto ciò che oggi ci definisce è considerato un nemico dal pensiero unico, e non è un caso se sono sotto attacco la famiglia, la patria o l’identità religiosa e di genere. Conclusi quel concetto con queste parole: «Io sono Giorgia. Sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana. Non me lo toglierete». Dalla piazza, la gente applaudì. La manifestazione si rivelò un successo, ma io non potevo prevedere che quelle parole avrebbero avuto un’eco enorme, nei mesi successivi. Passò qualche giorno, e sul telefono cominciò ad arrivarmi da più parti un remix di quel mio discorso. Tommaso Zorzi, in seguito vincitore del Grande Fratello, aveva lanciato su Instagram una challenge di protesta. E Mem & J, due giovani dj milanesi, avevano remixato le mie parole con una base da discoteca. Lo avevano fatto, ovviamente, con l’intento di rovesciarne il contenuto e fare satira, in modo da ridicolizzarne il messaggio. Ma le cose non andarono così. Il pezzo era troppo buono, troppo ballabile, e per certi versi troppo rivoluzionario, nonostante avesse un contenuto politico. Insomma, in poche settimane arrivò ovunque, si cominciò a ballare in tutte le discoteche, e vinse addirittura un disco d’oro, facendomi, tra le altre cose, coronare il mio sogno più segreto: essere una cantante.

Io sono Giorgia, Rizzoli

Il pentimento dei dj e l’occasione sprecata da Zorzi

«Tutto avremmo voluto fuorché diventasse una sigla per la Meloni». Mem & J non – 25 e 28 anni -, hanno sofferto l’effetto collaterale della loro creatura musicale. Sono consapevoli di aver reso la leader della destra simpatica ai ragazzini che inventano coreografie, sulla voce di Meloni, nella galassia TikTok. Sono consapevoli che la ridicolizzazione degli slogan meloniani li ha, di fatto, privati della loro importanza politica, innescando l’accettazione, con il sorriso, delle idee che prima spaventavano l’area politica rivale. A un certo punto, invece, hanno fatto ridere e ballare milioni di italiani. Nell’anniversario della pubblicazione della hit, i due dj, su Instagram, hanno scritto: «Esattamente un anno fa, nasceva Io sono Giorgia. Speriamo che di anno in anno certe politiche vengano sempre più abbandonate. Speriamo di aver condannato la signora a essere ricordata solo per una canzone che la prendeva in giro».

Non è affatto così, tant’è che oggi il titolo di quel brano è anche il titolo di un libro che si preannuncia bestseller. Zorzi, che con la sua condivisione ha dato il boost alla hit, avrebbe avuto l’occasione per rivendicare il messaggio originale di quell’operazione. Si è trovato seduto sullo stesso palco di Meloni, al Maurizio Costanzo Show, davanti a milioni di telespettatori. La leader di Fratelli d’Italia, a un certo punto, si è rivolta all’influencer ringraziandolo per aver spinto in cima alle classifiche il brano remixato. In quell’occasione, forse, avrebbe potuto dirle: «Guardi, si trattava di una presa in giro, dato che in quel comizio ripudiava uno Stato che si occupa di rispondere al desiderio di adozione delle famiglie omogenitoriali».

Invece, tra i sorrisi, Zorzi e Meloni hanno cantato insieme il tormentone. Anche quando il tema del dibattito si è spostato sul ddl Zan, Zorzi non ha mai incalzato una delle principali detrattrici della proposta di legge del deputato del Pd. Quando, infine, è arrivato il momento di fare una domanda alla segretaria di Fratelli d’Italia, Zorzi non ha sfiorato alcun argomento caro alla comunità Lgbtq che, volente o nolente, rappresenta: «Cosa ne pensi della proposta di estendere il diritto di voto anche ai sedicenni?». Palla in tribuna. Partita finita. Vince Meloni, fuoricasa, nell’habitat televisivo di Zorzi e sull’argomento che Zorzi padroneggia meglio.

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