I nuovi sospetti sulla strage del Mottarone: chi altro sapeva dei freni manomessi? Il dubbio della procura: per non perdere incassi, da anni si faceva così

Potrebbero aggiungersi nuovi indagati nell’indagine sulla tragedia della funivia Stresa-Mottarone, a cominciare da chi materialmente aveva lasciato i forchettoni all’interno del sistema frenante

I tre arrestati per la strage della funivia Stresa-Mottarone in cui sono morte 14 persone non potevano essere gli unici a sapere che la cabina numero 3 viaggiasse senza freni di emergenza. Il sospetto emerge chiaro negli atti della Procura sugli arresti del titolare delle Ferrovie del Mottarone, Luigi Nerini, il caposervizio Gabriele Tadini e il direttore di esercizio, Enrico Perocchio. L’elenco degli indagati potrebbe rapidamente allungarsi e coinvolgere chi materialmente ha lavorato sull’impianto nell’ultimo mese, periodo in cui come ormai assodato la cabina precipitata stava viaggiando con il divaricatore inserito nel sistema frenante: «Un’intera squadra di operai ha fatto funzionare la funivia con questo bypass – ha detto il capitano dei carabinieri a Repubblica, Luca Gemiale – Difficile dire al momento quanti siano e chi siano, ma di certo non è un sistema che si può far funzionare con una persona sola».


Quel che è certo finora per la procuratrice Olimpia Bossi è che i tre finiti in carcere «erano stati ripetutamente informati». Finora sono state sentite diverse persone, compresi gli operai che sostituivano Tadini quando non era in turno. Nessuno è stato ancora iscritto nel registro degli indagati, ma l’analisi di pc e cellulari potrebbe far emergere nuovi elementi finora taciuti. Così come si attendono chiarimenti dall’analisi della scatola nera della funivia.


Cosa succedeva negli anni passati

Altro sospetto se possibile ancor più angosciante è su quanti giorni quella cabina abbia viaggiato senza freni. Come emerso dai primi interrogatori al momento dei fermi, di sicuro quella pratica era in uso da almeno il 26 aprile, quando il Piemonte è tornato in zona gialla e sono tornati i primi turisti, dopo un lungo periodo di chiusura legato alle restrizioni per la pandemia di Coronavirus. Il dubbio che emerge ora tra gli inquirenti, scrive la Stampa, è che quella soluzione rapida ed economica di disattivare i freni pur di non fermare la funivia, e perdere altri incassi, era stata preferita già in passato, negli anni scorsi.

Resta poi il punto oscuro sulle cause che hanno portato alla rottura della fune traente, su cui l’arrivo del superesperto dal Politecnico di Torino potrà fare luce. Ieri il docente di ingegneria meccanica Giorgio Chiandussi ha trascorso fino all’ultimo minuto di luce sul luogo della tragedia. Da lui questa mattina la procuratrice Bossi aspetta le prime analisi, in vista degli interrogatori di garanzia per i tre indagati fissato per domani alle 9 nel carcere di Verbania.

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