AstraZeneca, la statistica dietro le scelte del Cts. Abrignani: «Avevamo solo 3 opzioni. Abbiamo deciso di evitare altre trombosi» – L’intervista

Secondo il membro del comitato tecnico scientifico, il mix dei vaccini è sicuro e non abbiamo bisogno di studi peer review per sostenere la scelta di vietare il richiamo per gli under 60

Gli under 60 che hanno ricevuto la prima dose del vaccino anti Covid19 AstraZeneca riceveranno una seconda dose diversa con Pfizer o Moderna. Questo è quanto è stato suggerito e recepito dal Governo su suggerimento del Comitato Tecnico Scientifico (CTS) proprio nei giorni in cui l’opinione pubblica era concentrata sul caso di Camilla Canepa, la giovane deceduta per circostanze ancora da chiarire dopo la vaccinazione con AstraZeneca. Secondo i critici si tratta di una scelta rischiosa o dettata dall’emotività nonostante i dati a disposizione. Abbiamo contattato il Prof. Sergio Abrignani, membro del CTS, per fargli qualche domanda in merito all’intera situazione e sul perché delle loro scelte. L’intervista sarà accompagnata da delle note (cliccabili) che forniscono ulteriori informazioni (con le relative fonti) in merito alle dichiarazioni del professore.


Professore, le scelte del Governo e del CTS sono state contestate in merito alla gestione del vaccino AstraZeneca.


«Dobbiamo fare un’ode alle vaccinazioni, punto! Ci ricordiamo la Sars? Era un virus facile da individuare e contenere, ma se fosse arrivato il Sars-Cov-2 nel 2002 noi avremo avuto non meno di tre o quattro anni come il 2020 senza i vaccini. Quindi, ode ai vaccini e alla ricerca degli ultimi 15 anni che ci ha permesso di ottenere questo risultato».

Ovvio, ma torniamo sull’argomento. La seconda dose del vaccino, che sia AstraZeneca o Pfizer, viene spesso chiamata «richiamo». Le sembra corretto come termine?

«In inglese si dice boost, in italiano potenziamento o richiamo. Qualsiasi dose dopo la prima è sempre un richiamo della risposta immunitaria».

Sia per AstraZeneca che per Pfizer puntano a questo boost per migliorare l’efficacia del vaccino.

«La prima dose stimola il sistema immunitario, la seconda serve a far stabilire una buona memoria».

In questo caso, usando come seconda dose un vaccino sviluppato con una tecnologia diversa, come quella a mRNA, come possiamo essere certi che chi ha ricevuto la prima dose di AstraZeneca possa ottenere un’adeguata protezione al virus?

«Siamo certi che non è la tecnologia che conta, ma ciò che fanno. Entrambi questi vaccini fanno produrre la proteina Spike alle nostre cellule. Il vettore virale è un adenovirus che contiene l’informazione genetica della Spike di Sars-Cov-2, entra nelle cellule umane, attiva la produzione di questa proteina e una volta uscita viene riconosciuta come estranea dal nostro sistema immunitario. Nel caso dell’mRNA, questo viene incapsulato dentro un sacchetto di grasso (di lipidi) che ha la capacità di fondersi alle nostre cellule per attivare la produzione della Spike. Anche in questo caso le cellule fanno l’antigene, esattamente allo stesso modo, innescando il sistema immunitario».

Che dati abbiamo a favore di questa scelta?

«Stavo leggendo sul Corriere le dichiarazioni di Cavaleri dell’EMA dove dice che ci sono studi limitati, ma che l’abbiamo fatto un sacco di volte [nota 1]. Quello che ci ha portato a fare questa scelta non è stato “un branco di ubriachi che si è svegliato la mattina con un lampo di ingegno”. Noi avevamo tre opzioni: non fare la seconda dose, dare la seconda dose di AstraZeneca o somministrare un vaccino a mRNA. La prima scelta è la peggiore di tutte, siccome di fronte alla variante inglese la sola prima dose di AstraZeneca otteniamo un’accettabile protezione del 60% mentre con la variante indiana si arriva a un insignificante 20%. Possiamo dare di nuovo AstraZeneca, ma oggi sappiamo che una persona su 600.000 sotto i 60 anni può statisticamente sviluppare una trombosi. In Italia abbiamo circa 980 mila persone sotto i 60 anni che aspettano la seconda dose, e siccome la statistica non è un’opinione se ci va bene ci sarà una trombosi, se ci va male saranno due, se andrà malissimo ne avremo tre perché la statistica ha degli intervalli di confidenza».

Ci dia dei numeri.

«Ci aspettiamo da una a tre trombosi soprattutto in donne tra i 18 e i 55 anni, la fascia più colpita. Una persona su 600.000 avrà una trombosi, probabilmente due».

Parliamo di un caso di trombosi su 600 mila, ma non di decessi. La paura principale è quella del rischio decesso a seguito della vaccinazione.

«Lei vuole mettere una donna di 20 anni a rischio trombosi? Parli con qualsiasi medico! È chiaro che non tutte le trombosi uccidono, ma le trombosi dei seni venosi cerebrali lo fanno. Non parliamo di una trombosi venosa al piede, stiamo parlando di una trombosi con una mortalità iniziale del 50% scesa al 20% perché abbiamo imparato a curarla. In ogni caso, il problema non è solo quello di morire, non è una passeggiata».

La terza opzione?

«La terza opzione che abbiamo, per il principio della massima cautela, è dare la seconda dose con i vaccini a mRNA che sono assolutamente sicuri, che fanno fare la stessa Spike e che sono già stati provati in almeno mille persone nei lavori scientifici all’estero. Siccome quello che noi facciamo è valutare sempre il rapporto rischi-benefici, davanti alle tre opzioni non fare la seconda dose è la peggiore».

Come possiamo sapere se questi casi, segnalati alla farmacovigilanza, siano effettivamente correlati al vaccino e che non facciano parte della normale statistica degli eventi riscontrati durante l’anno?

«Sappiamo che le trombosi trombocitopenica dei seni venosi cerebrali sono un evento rarissimo, mentre al terzo o quarto milione di somministrazioni, tra prima e seconda dose, riscontriamo un caso ogni 100 mila [nota 2]. Un numero di 20-40-50 volte superiore all’atteso, perché la trombosi trombocitopenica sono una curiosità della medicina che si riscontra solo in casi di uso sbagliato di eparina [nota 3]. Tant’è che sia l’EMA che l’FDA hanno obbligato a inserire nei bugiardini di AstraZeneca e Johnson & Johnson un rischio remoto di trombosi [nota 4]. Quando fanno questo è perché c’è la certezza che l’evento non è più associato in modo casuale, ma causale. Gli altri vaccini, quelli a mRNA, hanno rischio zero di sviluppare queste trombosi».

Di questi studi che sono stati fatti su mille soggetti che hanno ricevuto una seconda dose diversa del vaccino anti Covid19, come sappiamo che possano ottenere un 70 o un 90% di protezione?

«La protezione dei vaccini dipende dalla risposta immunitaria che viene indotta. Quello che è stato visto e pubblicato sostiene che la risposta immunitaria sia più potente quando viene richiamata da un vaccino a mRNA dopo essere stata innescata da un vaccino adenovirus. Questi studi sui mille soggetti lo dicono in modo esplicito e abbiamo un profilo di sicurezza assoluto [nota 5]».

Questi studi risultano pubblicati a seguito di una peer-review o sono ancora dei pre-print?

«Nel caso della pubblicazione di Lancet [n.d.r. dello studio inglese] gli ignoranti sono andati a vedere che la «correspondence» non è «peer-reviewed», ma ciò non vuol dire che non venga rivista. La «peer-review» significa che viene revisionata da pari esterni alla rivista, una «correspondence» viene approvata da un board scientifico interno [nota 6]».

Il professore Mario Melazzini, già direttore generale dell’Aifa, ha citato in un’intervista all’Huffingtonpost sia lo studio inglese su 830 soggetti che quello spagnolo su 676 sostenendo che «si tratta di dati non ancora sufficienti per avere un forte valore scientifico» e ha sostenuto che lo studio inglese «si conclude dicendo che saranno fondamentali studi futuri per valutare la reale efficacia e sicurezza». Non solo, teme che le decisioni prese in Italia siano «l’ennesima decisione assunta più sulla spinta emotiva prodotta dalla pandemia».

«Conosco Mario Melazzini, non mi permetterei mai di parlare di lui in sua assenza. Quello che le dico è di parlare con persone che hanno lavorato nel campo dei vaccini, punto! Abbiamo scelto di suggerire questa soluzione al governo, convinti in scienza e coscienza, perché è il rischio minore che possono avere gli italiani tra 18 e 60 anni con la seconda dose».

Tornando alla presunta causa delle trombosi, si è parlato degli adenovirus come fonte del problema.

«Assolutamente. Questa è l’unica certezza che abbiamo. Abbiamo suggerito AstraZeneca al di sopra dei 60 anni, al di sotto c’è il problema dei richiami. In un momento in cui il rapporto rischio-beneficio per quella popolazione, avendo un’alternativa e con il principio di massima cautela, abbiamo suggerito questo. Io lo firmo, lo abbiamo firmato! Sono profondamente convinto di questo! Vogliamo evitare una o due trombosi sicure. Se siamo sfortunati ce ne troviamo tre, ce lo dice ancora la statistica. Sappiamo che usando vaccini a mRNA non accadrà assolutamente nulla. Vogliamo uno studio di 30 o 40 mila persone? Possiamo farlo, ma se già adesso quattro studi dicono la stessa cosa potremmo fare a meno la peer-review».

Nota 1

Ecco la citazione di Cavaleri (EMA) riportata dal Corriere della Sera:

«AstraZeneca è approvato un Ue in due dosi, in un intervallo tra quattro e 12 settimane. Spetta agli Stati membri decidere se vogliono usarlo in due dosi o preferire, per qualche ragione, dare la seconda dose con un vaccino Rna messaggero», ha spiegato. «Come detto, tutte le evidenze che abbiamo che ci indicano che finora non dovrebbe essere problematico ma ovviamente devo ricordare che le evidenze sono limitate e serve un monitoraggio attento

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Nota 2

Dal report dell’AIFA «Complicanze tromboemboliche post-vaccinazione anti-COVID-19 con Vaxzevria (ChAdOx1 nCov-19, AstraZeneca) o con COVID-19 Vaccine Janssen (Ad.26. COV2.S, Johnson & Johnson)» pubblicato il 26 maggio 2021:

Dal rapporto preliminare EMA, nell’ambito della procedura europea di rivalutazione del vaccino Vaxzevria attualmente in corso , si evince che per gli eventi di trombosi venose in sedi atipiche associate a piastrinopenia è stato stimato un tasso di circa un caso ogni 100.000 vaccinati.

[…]

In Italia al 26 aprile sono stati riportati 34 casi di trombosi venose in sedi atipiche, 18 delle quali associate a trombocitopenia. Rispetto alle somministrazioni effettuate con Vaxzevria si osservano quindi 0.45 casi ogni 100.000 vaccinati, dato che potrebbe risentire della minor rappresentatività del campione italiano rispetto ai dati europei e anglosassoni.

[…]

La trombosi dei seni venosi cerebrali (TSVC) è una manifestazione rara, con una incidenza annuale che oscilla tra 0,2 e 1,5 casi per 100.000 abitanti per anno ed una prevalenza nel sesso femminile. Tipicamente si associa a condizioni protrombotiche, congenite o acquisite, alcune delle quali caratteristiche delle donne, come l’uso della pillola o la gravidanza e il puerperio. Raramente però si associa a trombocitopenia.

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Nota 3

Dal report dell’AIFA «Complicanze tromboemboliche post-vaccinazione anti-COVID-19 con Vaxzevria (ChAdOx1 nCov-19, AstraZeneca) o con COVID-19 Vaccine Janssen (Ad.26. COV2.S, Johnson & Johnson)» pubblicato il 26 maggio 2021:

In effetti, alcuni ricercatori tedeschi e successivamente norvegesi hanno rilevato in 16 casi di TSVC post-vaccinazione una positività per anticorpi contro il complesso tra fattore piastrinico 4 ed eparina, suggerendo che il meccanismo che innesca questa complicazione in soggetti non precedentemente esposti all’eparina possa essere quello definito come “trombocitopenia autoimmune indotta da eparina”, forse innescato dalla formazione di complessi tra gruppi polianionici indotti dal vettore virale e fattore piastrinico 4 o dalla produzione di anticorpi generati dalla reazione infiammatoria al vaccino capaci di cross-reagire con le piastrine e il fattore piastrinico 4 (PF4). Non c’è però ancora evidenza che questo sia l’unico meccanismo fisiopatologico che innesca questa sindrome trombotica e almeno alcuni dei casi finora descritti non sono risultati positivi al test per la ricerca degli anticorpi anti complessi PF4/eparina. Rimane inoltre da definire per quale ragione questa reazione avversa si sviluppi esclusivamente in alcuni rari casi.

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Nota 4

L’EMA ha non ha posto indicazioni riguardante l’età per le somministrazioni del vaccino AstraZeneca, ribadendo a metà giugno la propria posizione: «il rapporto rischi-benefici è positivo e il vaccino resta autorizzato per tutta la popolazione».

Queste le dichiarazioni di Marco Cavaleri, responsabile Vaccini e Prodotti terapeutici per Covid-19 dell’Agenzia europea del farmaco Ema, rilasciate il 17 giugno 2021:

Su AstraZeneca e Johnson & Johnson “è degli Stati Ue la decisione su come vogliono usare i vaccini nel contesto della loro campagna vaccinale. Entrambi i vaccini a vettore adenovirale sono approvati e hanno un rapporto rischio beneficio positivo da 18 anni in su ed è una decisione degli Stati scegliere se lo vogliono usare solo in alcune popolazioni” se optare per il mix con un vaccino a mRna per il richiamo “o no, sulla base dei vaccini che hanno disponibili, del contesto pandemico e della circolazione virale, e di ogni altro aspetto”, ha spiegato ancora Cavaleri. “Siamo ancora in pandemia – ha aggiunto – ed è importante usare tutte le opzioni disponibili”.

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Nota 5

Secondo i primi dati dello studio inglese Com-COV su 830 soggetti over 50, pubblicati a maggio su Lancet come «correspondence» con il titolo «Heterologous prime-boost COVID-19 vaccination: initial reactogenicity data», risulterebbe sia una maggiore reattogenicità che effetti collaterali più frequenti. I dati sull’immunogenicità, ossia la capacità posseduta da una sostanza di indurre una risposta immunitaria, sono attesi entro giugno.

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Nota 6

Riportiamo le specifiche per la pubblicazione delle «correspondence» della rivista scientifica Lancet:

Correspondence: «Our readers’ reflections on content published in the Lancet journals or on other topics of general interest to our readers. These letters are not normally externally peer reviewed».

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