Covid, cosa sappiamo finora sulla Variante Lambda: ecco come interpretare i dati su contagiosità e resistenza al vaccino

Individuata in Perù nell’agosto del 2020, ora cresce anche negli Usa. Classificata dall’Oms come “variante di interesse” è presente in circa 40 Paesi del mondo. I casi individuati in Italia sono 13

Con il virus che non smette di circolare in tutto il mondo e un’insufficiente copertura vaccinale ancora presente in molti Paesi, le mutazioni di Covid-19 non possono non essere tenute d’occhio da scienziati ed epidemiologi. Quella che negli ultimi giorni gli esperti stanno osservando da vicino è la variante Lambda, una mutazione che l’Organizzazione mondiale della Sanità ha inserito nell’elenco delle “varianti di interesse“. Una classificazione che riguarda i ceppi le cui varianti potrebbero risultare più contagiose o resistenti ai vaccini. In particolare, l’attenzione degli infettivologi si è concentrata sul sequenziamento effettuato negli Stati Uniti, attualmente alle prese con l’83% di prevalenza della variante Delta: al 4 di agosto risultavano più di 1.300 sequenze Lambda, con una presenza della variante in circa 40 Stati. In quanto all’Italia si tratta attualmente di 13 casi individuati, con la Delta continua a dominare per una percentuale del 70% nei tamponi degli ultimi 45 giorni. Ma cosa occorre sapere sulla variante Lambda e come interpretare i primi dati su contagiosità e resistenza al vaccino?


Che cos’è la variante Lambda

I virus si replicano, si moltiplicano, e può capitare che venga riscontrato un “errore di copiatura”. La prima condizione che permette la nascita di una variante è la possibilità di moltiplicarsi all’interno di un organismo. Il Sars-Cov-2 circola ancora molto nel mondo, ed è per questo che la banca dati delle varianti GISAID raccoglie giornalmente centinaia di sequenziamenti di nuove mutazioni. Il ceppo Lambda ne presenta diverse rispetto al ceppo originale Wuhan, di cui 7 della proteina Spike. Tre sono le più rischiose. T76I e L452Q, aumenterebbero il potere di contagiosità, la terza mutazione, ancora di più sotto la lente, è indicata con la lunga sigla RSYLTPGD246-253N: si trova nella parte terminale della proteina Spike e grazie ad essa la Lambda potrebbe avere il potere di sfuggire agli anticorpi creati dai vaccini.


BIORVIX.ORG | Le tre mutazioni della variante Lambda

I dati da interpretare con prudenza

I dati sulle tre sequenze arrivano da uno degli studi più recenti sul tema: «SARS-CoV-2 Lambda, una nuova variante di interesse, si sta ora diffondendo in alcuni paesi sudamericani; tuttavia, le sue caratteristiche virologiche e il tratto evolutivo rimangono sconosciute», si legge nel riepilogo dello studio in prestampa. «Qui riveliamo che la proteina Spike della variante Lambda è più infettiva ed è attribuita alle mutazioni T76I e L452Q. La mutazione RSYLTPGD246-253N è responsabile dell’evasione dagli anticorpi neutralizzanti, e poiché la variante Lambda si è diffusa prevalentemente in base alla crescente frequenza degli isolati che ospitano la mutazione RSYLTPGD246-253N, i nostri dati suggeriscono che l’inserimento della suddetta mutazione è strettamente associato alla massiccia diffusione dell’infezione della variante Lambda in Sud America». Il riferimento degli scienziati è alla prima individuazione della variante Lambda avvenuta in Perù nell’agosto 2020.

Come affermato dagli stessi esperti le conoscenze sulla nuova mutazione sono ancora limitate. Gli studi stessi di cui parliamo attendono di essere pubblicati in una rivista scientifica accreditata subito dopo aver superato il procedimento di peer review: un iter mediante il quale la rivista chiede il parere di esperti e referenti con il compito di analizzare lo studio e individuarne i possibili punti deboli. Solo dopo un attento esame e un possibile via libera, il testo scientifico otterrà la pubblicazione formale. Al momento dunque è necessario considerare con cautela gli articoli in “pre print” sulla variante Lambda e attendere l’eventuale correzione, modifica o conferma ufficiale della commissione competente. Va da sé come anche le informazioni su maggiore trasmissibilità o ancora peggio di resistenza al vaccino vadano valutate con prudenza.

Resistenza “modesta” dei vaccini

L’ultimo studio pubblicato il 19 luglio scorso dalla Grossman School of Medicine della New York University, ha mostrato come alcune delle varianti emergenti tra cui proprio la Lambda potrebbero eludere la protezione offerta da una singola dose del vaccino Johnson & Johnson. E ancora: «Gli anticorpi provocati da BNT162b2 e mRNA-1273 hanno mostrato una modesta resistenza alla neutralizzazione contro le varianti Beta, Delta, Delta plus e Lambda». Le sigle di lettere e numeri citate non sono nient’altro che i due vaccini a mRna Pfizer e Moderna. Riguardo al vaccino Jannsen, per cui è riconosciuta una bassa resistenza, il documento in pre print continua: «I dati suggeriscono il beneficio di una seconda immunizzazione per aumentare la protezione contro le varianti».

La Lambda in Italia

Identificata per la prima volta in Perù, la mutazione Lambda si è poi diffusa in 44 Paesi con differenti gradi di dominazione. Secondo la banca dati Gisaid si parla di un 33% in Cile, 23% in Perù, 20% negli Stati Uniti. 5% in Ecuador e 4% in Messico. L’Italia è stata interessata da 13 sequenziamenti associati alla Lambda, un numero per ora relativamente ridotto: ancor di più se si pensa che nelle ultime 4 settimane si è registrato 1 caso soltanto con una prevalenza dello 0%. Dati che al momento non risultano neanche lontanamente competitivi con la Delta dominante. Il nodo fondamentale da sciogliere per la Lambda, come per tutte le varianti di Covid-19, sarà quello di riuscire a sequenziare il maggior numero di campioni su tutto il territorio nazionale in modo da individuare con tempestività qualsiasi rischio piuttosto che rincorrerlo come accaduto finora.

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