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Il Green pass chiesto in prestito agli amici su Whatsapp: a Torino il raggiro grazie al buco dei controlli

10 Agosto 2021 - 09:45 Giada Giorgi
Un semplice messaggio su WhatsApp con il QR code di un altro ed è fatta: all'ingresso del locale si va con Certificazione verde apparentemente in regola

Nessun vaccino anti Covid, nessun tampone. Un Green pass chiesto in prestito ad amici e conoscenti e il gioco è fatto: l’accesso a ristoranti, bar, palestre e piscine è regolare e assicurato. Si tratta dell’ultima trovata di giovani torinesi che per eludere i controlli dei gestori all’entrata dei locali hanno pensato di chiedere un QR code in prestito. Purtroppo niente di più semplice: ad aiutare, da un parte, la poca dimestichezza dei proprietari delle attività nella gestione efficace del controllo e della verifica, dall’altra il gran pasticcio del governo sulla questione privacy. Come Open ha già spiegato nelle ultime ore, le indicazioni sulla Certificazione verde Covid-19 diffuse sul sito ufficiale del governo, Dgc.gov.it,  ha fin da subito presentato a chiare lettere la necessità da parte del controllore di Green pass, tramite App Verifica-19, di provvedere oltre alla scannerizzazione del Qr Code, anche alla verifica del documenti d’identità del cliente. Un iter «ai fini della verifica di corrispondenza dei dati anagrafici presenti nel documento con quelli visualizzati dall’App». Nelle ultime ore l’improvviso dietrofront operato nell’ordine dalla ministra dell’Interno Lamorgese, dall’improvvisa scomparsa delle indicazioni sul sito ufficiale e dalla circolare del capo di gabinetto del Viminale, Bruno Frattasi. Il governo ci ha ripensato: titolari e gestori non potranno e non dovranno chiedere il documento di identità per verificare che il certificato appartenga davvero a chi lo sta esibendo.

Il vuoto normativo riguarda uno dei nodi più delicati dell’obbligo di Carta verde, quello della privacy, diventato presto causa di prevedibili azioni di raggiro. Il metodo del Green pass preso in prestito riguarda soprattutto la fascia d’età dai 15 ai 29 anni. Un semplice messaggio su WhatsApp con la foto del codice a barre ed è fatta: ci si presenta all’ingresso di qualsiasi locale senza vaccino né tampone che attesti la negatività dal virus, ma con Certificazione verde apparentemente in regola. Nessuno controllerà che il nome, il cognome e la data di nascita presenti sul pass sanitario corrisponda effettivamente alla persona che lo esibisce, tranne che agenti di polizia, carabinieri o vigili urbani autorizzati a farlo. Una delle motivazioni date dai giovani sarebbe quella di una campagna vaccinale che per loro è cominciata troppo tardi. «Siamo stati gli ultimi ad avere accesso alla campagna vaccinale», racconta un ragazzo di 23 anni a Corriere Torino, la formula del Green pass ci penalizza. Molti di noi hanno già fatto la preadesione e aspettano la prima dose, altri invece hanno fatto l’inoculazione ma devono aspettare 15 giorni affinché il Certificato sia valido. Non possiamo neanche farci un tampone ogni due giorni». E così la soluzione diventa quella del pass in prestito.

Attualmente il Paese registra 2,7 milioni di ragazzi ancora scoperti mentre quasi 1 milione ha ricevuto le due dose e 841mila sono in attesa del richiamo. In particolare nella fascia 20-29 anni si contano 2 milioni di giovani che non hanno ricevuto neanche la prima dose, 1,3 milioni attendono il richiamo. L’idea annunciata dalla struttura commissariale di Figliuolo è quella di prevedere un piano pensato solo per loro subito dopo ferragosto. Corsie preferenziali e senza prenotazioni dovrebbe aiutare a vaccinare la categoria 12-29 anni con l’obiettivo del 60% di immunizzati da raggiungere entro la metà di settembre.

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