Afghanistan, nel Panjshir la resistenza continua. Il leader Massoud: «Nessuna resa, ma non lasciateci soli»

Il figlio del “Leone del Panjshir”: «Il dialogo con i talebani? In tutte le guerre si parla, ma non accetteremo mai una pace imposta»

È l’ultima sacca di resistenza al dominio talebano in Afghanistan. La Valle del Panjshir, nel Nord Est del Paese, ha una lunga storia di ribellioni, ai sovietici negli anni ’80 e agli stessi talebani in tempi più recenti. E a più di una settimana dalla caduta di Kabul, continua a sfuggire al controllo dei militanti islamici. Ieri, un account Twitter dei miliziani ha fatto sapere: «Centinaia di mujaheddin dell’Emirato islamico si stanno dirigendo verso la regione del Panjshir per assumerne il controllo, dopo che i funzionari locali si sono rifiutati di consegnarlo pacificamente». Sempre nella giornata di ieri erano circolate voci di una resa imminente, smentite dai vertici dei ribelli e – in un’intervista pubblicata oggi su la Repubblica – dal leader Ahmad Massoud.


«È solo propaganda – dice Massoud -. E, a quanto pare, lì da voi ci sono dei disfattisti che confondono i loro desideri con la realtà. Non è affatto così. Non se ne parla di abbandonare la lotta; anzi, la nostra resistenza, qui nel Panjshir, è appena iniziata». Il leader dei ribelli, figlio del comandante che negli anni ’80 fronteggiò i sovietici, dice: «Mio padre mi ha insegnato una cosa: che la forza di un popolo è fatta, ben oltre la disparità dei mezzi fisici, dallo spirito di resistenza. È questo che conta. Bisogna credere con ogni forza nella missione che ci viene assegnata, e questa missione, per me, è irrevocabile, qualunque sia il prezzo da pagare. Mio padre, dentro di sé, questa forza l’aveva, non l’ho mai messo in dubbio. Farò tutto il necessario per dimostrarmi degno del suo esempio, della sua fermezza e del suo coraggio pacato. Preferirei morire, piuttosto che arrendermi. Sono figlio di Ahmad Shah Massoud: “resa” è una parola che non esiste, nel mio dizionario».


Massoud: «Non accetterò una pace imposta»

Massoud non smentisce contatti con i talebani: «Parlare, è una cosa. Parlare si può. In qualsiasi guerra si parla. E mio padre ha sempre parlato con i nemici. Sempre. Persino nei momenti di guerra più aspri. Arrendersi però è un’altra cosa. E le ripeto che non se ne parla, non ci arrenderemo, né io né i miei uomini. Non se ne parla proprio». Il leader dei ribelli si definisce «un uomo di pace, voglio il bene del mio popolo». E sulle prospettive per il suo Paese dice: «Pensi se i talebani si mettessero a rispettare i diritti delle donne, delle minoranze; e la democrazia, le basi di una società aperta e tutto il resto. Perché rinunciare a dire loro che tali principi avrebbero effetti positivi su tutti gli afgani, talebani compresi? Tuttavia ripeto, e torno a ripetere, che non accetterò mai una pace imposta, il cui unico merito sia l’apporto di stabilità. La libertà e i diritti umani sono beni di un valore incalcolabile, non si possono barattare con la stabilità di una prigione».

L’appello di Massoud: «Non lasciateci soli»

Le montagne del Panjshir, ricorda Massoud, hanno una lunga tradizione di resistenza: «Né i talebani, prima del 2001, né i sovietici, prima di loro, sono riusciti a violare questo santuario. Credo che anche per oggi continuerà a essere così». Il leader dei ribelli dice che migliaia di uomini stanno per unirsi alla resistenza: «Tra loro ci sono attivisti, intellettuali, politici, ufficiali dell’esercito afgano. Ed è solo l’inizio. Arrivano a piedi, a cavallo, in moto, in auto: affrontano pericoli di ogni tipo. E ci raggiungono. Sono molto agguerriti. Sono membri di lunga data delle forze speciali. Rappresentano un solido pilastro per il nostro movimento». «Restiamo saldi nella tempesta – conclude Massoud -, e il vento finirà per soffiare a nostro favore. Lo farà con più forza se riceveremo aiuto». Da parte di chi? «Da chiunque vorrà prestarcelo. A Parigi ho incontrato il presidente Macron. Sono rimasto molto colpito da quel giovane presidente che ammirava mio padre e il presidente De Gaulle. Non riesco a immaginare che possa lasciarci soli. Sa che i resistenti del Pansjhir sono uno scudo contro la barbarie. E non soltanto per il popolo afgano».

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