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Tommaso Claudi: «Vi spiego cosa c’è dietro la foto del bambino all’aeroporto di Kabul»

tommaso claudi foto bambino aeroporto kabul
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Il diplomatico racconta come è finita la storia del bimbo che ha tirato su dal muretto di Abby Gate: «È sano e salvo. Ma non è stato l'unico. La scelta di venire in Afghanistan? La rifarei ogni giorno»

Tommaso Claudi è il diplomatico più popolare d’Italia. La foto che lo ritrae mentre mette in salvo un bambino all’aeroporto di Kabul è diventata virale nei giorni scorsi. E con lo scatto è nato anche un piccolo “giallo” che riguarda la sua carica, visto che fin dall’inizio è stato definito console o viceconsole anche se tecnicamente la sua carica era quella di secondo segretario. Oggi il Corriere della Sera fa invece sapere che Claudi è stato promosso al ruolo di console ad interim per gestire l’esodo dall’aeroporto dopo che l’ambasciata di Kabul è stata evacuata verso Roma assieme all’ambasciatore Vittorio Sandalli. «Che continua a svolgere naturalmente un ruolo fondamentale», aggiunge lui, forse per rispondere alle polemiche che definivano la feluca come «in fuga».

Ma soprattutto, in due colloqui con il quotidiano e con la Repubblica, Claudi spiega cosa c’è dietro la foto sul muretto mentre tira su il bambino dalla fogna di Abby Gate, l’ingresso dell’aeroporto di Kabul. «Un momento che mi ha molto colpito. Non è facile vivere certe scene. Quel bambino è poi stato consegnato ai famigliari, lui con loro sani e salvi. Ma non è stato l’unico bambino». Ne ha salvati altri? «Alcune altre volte, sì». Poi si schermisce: «Primo: faccio il mio lavoro. E il nostro è un lavoro di gruppo: io sono un semplice funzionario di ambasciata, non un personaggio pubblico. C’è il mio ministero, c’è la Difesa, c’è l’intelligence. Io sono un piccolo ingranaggio del sistema. Non mi aspettavo tutto quel clamore dopo quella fotografia. Il nostro unico lavoro era andare su quel muro per portare assistenza ai cittadini afghani in stato di necessità. Ecco, se devo dire che c’è un significato in quella fotografia, è quello della squadra».

Claudi vive in un locale all’interno dell’aeroporto, nella zona affidata agli italiani, in una palazzina che si affaccia sulla pista principale. Appare visibilmente stanco ma anche deciso a continuare il suo lavoro: «Stiamo portando in salvo un grandissimo numero di persone, tra cui tutti i nostri connazionali che ne hanno fatto richiesta e quasi 2.700 cittadini afghani. Il numero muta continuamente e crescerà con i prossimi voli in programma. Ad oggi il numero di italiani evacuati si aggira sulla settantina, dalla crisi di metà agosto. E si stima che un’altra ventina siano ancora nel Paese, di cui la grande maggioranza collaboratori di Emergency».

Chi è Tommaso Claudi

Claudi, 31 anni, è nato a Camerino nelle Marche ed è laureato in lingue con specializzazione in russo medievale. Dopo un programma di studio congiunto tra Italia e Germania ha vinto il concorso per entrare al ministero degli Esteri: «Ero all’ufficio che si occupa delle scuole italiane nel mondo. E poi ho scelto di venire qui. Ora sono stato assegnato in Arabia Saudita. Non so quando mi sarà chiesto di andare, credo che prima dovremo finire qui il nostro lavoro». Non intende fare valutazioni politiche sul ritiro disordinato dell’Occidente dall’Afghanistan. Ma la scelta di venire «la rifarei ogni giorno. Perché oltre al valore professionale è umana: ho avuto la fortuna di conoscere persone straordinarie, di vivere accanto a loro nel compound per due anni».

Proprio per questo, spiega, non è andato via: «Questo è il mio lavoro. Questo è il mio posto: come ho detto sin dal principio, io resto qui fin quando ce ne sarà bisogno. Ma non di me. Ma del nostro Paese e, per la mia piccola parte, del mio lavoro. Oggi ho passato la mia giornata al gate perché è lì che dovevo essere. Certo, è un problema serio di ordine pubblico. Quelle foto, compresa quella scattata a me, sono drammatiche. Il nostro compito è di fare il possibile per gli afghani. Pensando sempre alla sicurezza del nostro personale». Infine, una promessa su quello che succederà dopo il 31 agosto, data dell’evacuazione annunciata dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden: «Noi qui siamo per servire il nostro Stato e partiremo quando l’ordine ci verrà impartito da Roma». 

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