La trasformazione rapida della mafia con la pandemia. Allarme della Dia: meno violenze e più affari

L’allarme investe i fondi stanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e i capitali in arrivo

La criminalità organizzata cambia faccia e si adegua ai tempi – e alle crisi epocali: Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta seguono il passo, sono sempre meno violente ma sempre più collegate a doppio filo ai colletti bianchi. A dirlo è la nuova Relazione della Direzione investigativa antimafia sul secondo semestre del 2020 appena consegnata al Parlamento. Le mafie, si legge, sostituiscono «l’uso della violenza, sempre più residuale, con linee d’azione di silente infiltrazione». E strumentalizzano i gravi disagi provocati dalla pandemia di Coronavirus, come già spiegato l’anno scorso a crisi pienamente in corso. Lo fa la camorra per esempio, scrive la Dia, che «resta per dinamiche e metodi un fenomeno macro-criminale dalla configurazione pulviscolare-conflittuale».


Come cambiano le mafie

Per gli esperti della Dia, le organizzazioni mafiose hanno velocizzato il «processo di trasformazione e ‘sommersione’ già in atto da tempo, senza però rinunciare del tutto all’indispensabile radicamento sul territorio e a quella pressione intimidatoria che garantisce loro la riconoscibilità in termine di ‘potere’ criminale». Diminuiscono gli ‘omicidi di tipo mafioso’ e delle ‘associazioni mafiose’ (da 125 a 121 e da 80 a 41 rispetto alla seconda metà del 2019), mentre aumentano i delitti connessi con la gestione illecita dell’imprenditoria, le infiltrazioni nei settori produttivi e l’accaparramento di fondi pubblici. Le organizzazioni criminali sono attive nei settori “classici”, quindi traffico di droga, usura, estorsioni – ma appaiono ora molto attive anche in altre aree come scommesse e gioco d’azzardo, con un utilizzo “sapiente” di quanto offre la modernità: secondo quanto scrivono gli esperti della Dia imprenditori riconducibili ai clan creano infatti società nei paradisi fiscali dando vita a un circuito parallelo a quello legale che permette di ottenere soldi e di riciclare enormi quantità di denaro in modo anonimo. Non solo: sembra che le organizzazioni criminali non disdegnino di utilizzare pagamenti in criptovalute, bitcoin e Monero, che hanno il “vantaggio” di non essere tracciabili e monitorabili dalle banche.


Le infiltrazioni

Gli analisti avvertono anche che «si sarebbe ulteriormente evidenziata la tendenza ad infiltrare in modo capillare il tessuto economico e sociale sano» da parte delle organizzazioni criminali. Una strategia che, «in un periodo di grave crisi, offrirebbe alle organizzazioni l’occasione sia di poter rilevare a buon mercato imprese in difficoltà, sia di accaparrarsi le risorse pubbliche stanziate per fronteggiare l’emergenza sanitaria». Se «al nord, mediante il riciclaggio, risulterebbe intaccata l’imprenditoria privata con consistenti investimenti di capitali illeciti», si legge nella Relazione, al sud l’attenzione delle mafie si sarebbe rivolta «verso tutti i vantaggi offerti dai finanziamenti pubblici stanziati per offrire impulso alla crescita». L’allarme investe i fondi stanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. La capacità imprenditoriale delle mafie, con gli ingenti capitali illeciti accumulati e con la collaborazione di colletti bianchi collusi e di una certa imprenditoria, potrebbero portarle ad avere come target proprio quei fondi, «che giungeranno a breve grazie alle iniziative del Governo per assicurare un tempestivo sostegno economico in favore delle categorie più colpite dalle restrizioni rese necessarie dall’emergenza sanitaria».

Sequestri e confische

Nel corso del secondo semestre 2020 le mafie italiane, dice ancora la Relazione, si sono viste sequestrare beni per un valore di 287 milioni e 441mila euro: ovvero tre volte in più di quanti ne sono stati sequestrati nei primi sei mesi dell’anno (allora la cifra si era fermata a 88 milioni). Triplicate anche le confische: 181 milioni a fronte dei 42 del primo semestre 2020.

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