Ddl Zan affossato: cosa succede adesso e perché è necessario un nuovo testo

Dopo la tagliola del Senato l’iter dovrà ripartire da zero. E non prima di sei mesi. La nuova proposta dovrà essere ricalendarizzata

Cosa succede con il Ddl Zan affossato in Senato dopo il voto di ieri? La “tagliola” è uno strumento previsto dall’articolo 96 del regolamento di Palazzo Madama: «Prima che abbia inizio l’esame degli articoli di un disegno di legge, un senatore per ciascun gruppo può avanzare la proposta che non si passi a tale esame». L’esito della votazione è stato chiaro: 154 voti favorevoli allo stop dell’esame e 131 contrari. Con 23 voti di differenza e la caccia già scatenata ai franchi tiratori, l’esito del voto segreto (regolamentato dall’articolo 113) rappresenta un punto finale sul testo contro l’omotransfobia. Il Corriere della Sera infatti ricorda oggi che sempre il regolamento del Senato prevede che dopo la “tagliola” non sia più possibile ripresentare lo stesso testo di legge. L’iter può ricominciare con un testo sullo stesso argomento ma almeno a sei mesi di distanza dal voto sul vecchio. E quindi a partire dal 27 aprile 2022. La nuova proposta deve essere poi calendarizzata alla Camera o al Senato e seguire il percorso di approvazione. Mandando così in soffitta i due anni che ci sono voluti per arrivare al voto di ieri. Il quotidiano fa anche i conti in tasca al voto alla ricerca dei franchi tiratori. Nel centrosinistra erano convinti di poter vincere con otto voti in più. Alla fine mancano 16 senatori all’appello. Anche a destra non tornano i conti. Salvini, Meloni e Berlusconi si sono trovati con una ventina di voti in più rispetto al numero di scranni.


Cos’è il Ddl Zan

L’obiettivo del Ddl Zan è la prevenzione e il contrasto della discriminazione e della violenza basate su sesso, genere, orientamento sessuale, disabilità o identità di genere. Nei 10 articoli si prevede l’estensione dei cosiddetti reati d’odio per discriminazione razziale, etnica o religiosa a chi discrimina omosessuali, donne, disabili. Le pene previste erano la reclusione fino a 18 mesi e la multa fino a 6.000 euro per chi commette o incita a una discriminazione. Per chi istiga a commettere una violenza o a effettua la pena era il carcere da 6 mesi a 5 anni. La stessa pena è prevista per chi partecipa a organizzazioni che incitano alla discriminazione o alla violenza.


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