Roberto Saviano: «Vi spiego perché difendo Mimmo Lucano e il modello Riace»

Lo scrittore sul Corriere della Sera: l’ex sindaco è stato colpito perché ha individuato soluzioni che smantellavano il business dell’accoglienza. E ha pestato i piedi alla ‘ndrangheta

Lo scrittore Roberto Saviano torna a parlare di Mimmo Lucano e del modello Riace sul Corriere della Sera dopo la condanna a 13 anni e due mesi di carcere ricevuta dall’ex sindaco. Secondo Saviano, Lucano è stato colpito perché Riace ha individuato soluzioni che smantellavano il business dell’accoglienza dove regna la ‘ndrangheta: «”L’utopia della normalità”, se la fai in Calabria, deve confrontarsi con la criminalità organizzata», ha scritto Tiziana Barillà in «Mimí Capatosta. Mimmo Lucano e il modello Riace» (Fandango, 2017). E oggi l’accusa ha puntato il dito proprio contro la gestione di questo modello. Chiariamo subito un equivoco insopportabile: Mimmo Lucano è accusato (anche) di «peculato» ma non si è messo in tasca un euro, è trascritto nei verbali del processo. Mimmo Lucano non è accusato di avere rubato per sé, ma di avere «mal gestito» i fondi dell’accoglienza. Per quanto mi riguarda di averli usati troppo bene! Ma questo il nuovo grado di giudizio spero lo chiarirà. Da virtuoso a criminale, in poco più di dieci anni. Per questo adesso Riace è il luogo della distanza tra legalità e giustizia, ricorda al paese che «legale» non basta, bisogna che sia anche «giusto». Dopo l’assedio e la chiusura, tornando a Riace non salta agli occhi solo l’assenza di qualche decina di rifugiati, manca proprio il tessuto sociale, il tessuto di vita. È tornato a essere uno dei tanti paesi dell’entroterra calabrese, del meridione. Mimmo Lucano è stato condannato in primo grado a 13 anni e due mesi. «Rompere il presente può costare caro», ma sono certo che il tempo darà ragione a Riace. Del resto, lo scorso aprile 2019 la Corte di Cassazione, ha espressamente dichiarato che l’impianto accusatorio non sta in piedi: mancano i «comportamenti» fraudolenti di Domenico Lucano. Quella sentenza non ha a che vedere con il processo in corso a Locri, ma ci parla dello stesso incriminato. Una voce che non può rimanere inascoltata.


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