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Covid, Crisanti: «La zona rossa nel Bergamasco avrebbe evitato migliaia di morti»

14 Gennaio 2022 - 21:34 Redazione
L’analisi, arrivata sul tavolo dei pm, stila un’articolata ipotesi delle vittime che si sarebbero potute evitare giorno dopo giorno. Il professore parla di 6.00 morti in rapporto a un milione di abitanti

Si sarebbero potute evitare tra le 2.000 e le 4.000 vittime legate al Covid se fosse stata applicata tempestivamente la zona rossa nel Bergamasco all’inizio della pandemia. La stima arriva dal professore Andrea Crisanti ed è stata ottenuta sulla base del metodo incentrato sulla ipotetica progressione del virus pensato da Stefano Merler, consulente del comitato tecnico scientifico. Il documento offre le basi per cominciare a ragionare con i magistrati della procura di Bergamo rispetto a quel ritardo nel processo decisivo del governo – allora Conte – in assenza del quale si sarebbero potute salvare migliaia di vite. L’analisi – di una novantina di pagine con circa altre 10.000 di allegati – è arrivata sul tavolo dei pm e stila un’articolata ipotesi delle vittime che si sarebbero potute evitare giorno dopo giorno, da quando arrivò la conferma dei primi contagi da Coronavirus in Italia, a febbraio 2020. Crisanti ha parlato di 6.00 vittime nel Bergamasco in rapporto a un milione di abitanti.

Dall’esame minuzioso di quei giorni sono emerse «criticità a proposito dell’istituzione e tempestività della zona rossa e dell’applicazione del piano pandemico nazionale anti-Covid». Sempre secondo lo stesso documento, minori sarebbero le criticità riguardo alla chiusura e alla riapertura del pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo, sempre in provincia di Bergamo, dopo la scoperta di due casi il 23 febbraio, due giorni dopo che era stato confermato il primo positivo a Codogno, in provincia di Lodi. Occorre considerare che prima di quella data è stato appurato che il virus già circolava tra pazienti e personale sanitario. Secondo gli accertamenti eseguiti dalla Procura, c’erano già «un centinaio di contagi».

Secondo il professor Crisanti, molte delle scelte fatte in quel periodo appaiono «prese in buona fede, sulla scorta delle conoscenze che si avevano». Sicuramente «certo è che è stato umanamente impegnativo avere a che fare per un anno e mezzo con storie personali dolorose. Ma – ha proseguito – come detto dal procuratore, il nostro compito è quello di stabilire cosa è successo per tutti i familiari delle vittime». Se si sia trattato di un tragico disastro nel Bergamasco Crisanti non si sbilancia: «Nn sta a me dirlo – spiega il consulente – ma 6.000 morti su una popolazione di 1 milione di abitanti…».

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