Esplode il fenomeno «Euphoria»: ecco perché vale la pena guardare la serie tv di Sam Levinson

Il programma continua a far discutere e a riscuotere apprezzamenti. Cosa lo distingue dagli altri esperimenti televisivi degli ultimi anni?

Euphoria è la serie del momento. Dopo la conclusione della seconda stagione, ci si interroga sulle ragioni del suo successo: il prodotto targato HBO (in Italia disponibile su Sky e in streaming su Now) mette in scena molti temi ricorrenti nei teen drama, come l’amore, l’amicizia, i tradimenti e il conflitto interiore per trovare sé stessi. Non esattamente una novità. Eppure, il suo episodio finale ha incollato allo schermo 6 milioni e mezzo di spettatori, portandola a diventare la seconda serie tv più vista dell’emittente (superata solo dall’impareggiabile Trono di Spade). Trionfo confermato dai social: la pagina Instagram dello show può vantare 7,1 milioni di follower, mentre l’hashtag #Euphoria ha toccato quasi 33 miliardi di visualizzazioni su Tiktok. Ha ottenuto anche diversi riconoscimenti, dall’Emmy vinto dalla protagonista Zendaya nel 2020 alla candidatura come miglior serie internazionale ai BAFTAs (British Academy Television Awards).


I festini nei lunapark, il make up scintillante e l’insolita frequenza di nudi maschili integrali non bastano a giustificare questo straordinario apprezzamento da parte del pubblico. Oltre all’indiscusso talento sia davanti che dietro la telecamera, imbracciata dal regista e sceneggiatore Sam Levinson, Euphoria si distingue non per quello che racconta, ma per come lo racconta. In questa seconda stagione – allerta spoiler – abbiamo nuovamente occasione di sbirciare tra le colonne di un moderno Olimpo, abitato da giovani bellissimi e spregiudicati: ritroviamo Rue (Zendaya), che annulla e distrugge tutti i suoi rapporti interpersonali a causa della tossicodipendenza. Viene raccontata l’evoluzione della storia d’amore tra lei e Jules (Hunter Schafer), complicata dall’intervento di un nuovo personaggio, Elliot (Dominic Fike). Seguiamo la fine della relazione tra la It Girl Maddy (Alexa Demie) e il quarterback Nate (Jacob Elordi), il quale affronta finalmente la figura paterna (Eric Dane). Il personaggio di Cassie (Sydney Sweeney) subisce una trasformazione rovinosa, mentre quello di Kat (Barbie Ferreira), prima baluardo della body confidence, si arena in un ruolo secondario. Viene invece dato molto più spazio a Fezco (Angus Cloud), lo spacciatore dal cuore tenero, e a quello di Lexi (Maude Apatow), l’amica abbandonata di Rue che riscopre il suo talento per la scrittura (riconoscendo di essere stata “un’osservatrice” per tutta la sua vita).


Non mancano sequenze esasperate e autoindulgenti ma tutti i temi sono affrontati in modo esplicito, senza moralismi: viene detto apertamente, per esempio, che «la droga è una figata», ma non si risparmiano dettagli sull’incubo della dipendenza. Insomma, lo show offre la duplice impressione di parlare ai giovani al riparo dallo sguardo dei genitori, e allo stesso tempo di rivolgersi a loro trattandoli da adulti. E’ tutto molto verosimile, specie quando si tratta di raccontare le dinamiche dei rapporti moderni (come le chat interminabili che cementano i primi amori), così come i profondi sconvolgimenti emotivi che ogni avvenimento è in grado di scatenare nei protagonisti e questo rende facile l’identificazione.

Rispetto ai primi sette episodi, in cui la serie puntava maggiormente a definire la propria identità, aumentano gli azzardi: la trama e il destino degli avvenimenti paiono subordinati alla sperimentazione tecnica e al tentativo di comunicare qualcosa in più, come il valore del perdono. Proprio il perdono, nei confronti degli altri e di sé stessi, è quello che consente al personaggio di Rue di compiere forse l’unico vero atto di redenzione: nella prima stagione sceglieva di annientarsi sospirando: «Ogni volta che mi faccio spero che la sensazione – l’Euforia, appunto – duri per sempre. Ma non lo fa mai». La lasciamo adesso, nell’ultimo episodio, mentre commenta la decisione di disintossicarsi ammettendo, in tutta la sua umana fallibilità: «non so se questa sensazione durerà per sempre. Ma ci sto provando».

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