L’epidemiologo La Vecchia: «Mascherine al chiuso per un’estate al sicuro. Il rischio? Una nuova variante»

Il professore è certo del fatto che questo virus «resterà sempre con noi, come ad esempio quello dell’influenza russa del 1889. La speranza – è la sua conclusione – è che si trasformi in una malattia respiratoria minore

Anche se al momento «rimane un’ipotesi improbabile», il rischio più grande per la pandemia da Coronavirus è «quello di una nuova variante più contagiosa di Omicron e che provochi uno sviluppo della malattia più grave». Ne è convinto l’epidemiologo Carlo La Vecchia, professore dell’università Statale di Milano, secondo cui è assolutamente «prematuro» alleggerire le misure di contenimento del contagio. In un’intervista a La Stampa, l’esperto spiega come sia necessario continuare a indossare le mascherine al chiuso così da poter andare incontro nei mesi estivi a una situazione «tranquilla e sotto controllo». La Vecchia parla della risalita dei contagi come di un fatto totalmente in atteso in questa fase discendente relativa alla quarta ondata dell’epidemia: «Pensavo che si andasse verso un livellamento – è la sua opinione -. Invece siamo tornati mediamente ai livelli di 15 giorni fa. Guardando le medie settimanali, si nota un aumento del 18% in 7 giorni, passando da poco più di 36.000 a 42.586».


Il professore esclude che possa esserci una nuova ondata con «un carico importante sugli ospedali e molti morti», o perlomeno il rischio è «basso». «Andiamo poi verso l’estate, quando i virus respiratori si diffondono meno – aggiunge La Vecchia -. Non abbiamo comunque più una popolazione “vergine”: tra guariti e vaccinati siamo vicini al 100% delle persone che hanno avuto un contatto col virus». Per il professore è comunque «ragionevole» che alcune misure, come le mascherine al chiuso, restino attive. «Il quadro drammatico sarebbe una variante più contagiosa di Omicron. Anche se al momento rimane improbabile che arrivi». Infine La Vecchia è certo del fatto che questo virus «resterà sempre con noi, come ad esempio quello dell’influenza russa del 1889. La speranza – è la sua conclusione – è che si trasformi in una malattia respiratoria minore».


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