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I segreti di Sagittarius A*: perché la foto del buco nero può rappresentare una svolta per la ricerca – Le interviste

13 Maggio 2022 - 13:06 Juanne Pili
Gli astronomi Miluzio, Memeo e l'astrofisico Bonaventura spiegano come è stata realizzata l'immagine e quali ripercussioni avrà sul futuro della ricerca scientifica

A tre anni dalla prima “foto” di un buco nero distante 55 milioni di anni luce dalla Terra (Messier 87*), la rete di radiotelescopi Event Horizon (Eht) è riuscita a immortalare quello situato al centro della nostra galassia, Sagittarius A*, che dista da noi “soltanto” 26 mila anni luce. Queste immagini non sono realizzabili con metodi tradizionali. La natura stessa dei buchi neri li rende invisibili all’occhio umano, dato che la loro attrazione gravitazionale cattura persino la luce. Ma grazie alle onde radio è possibile captare quel che gira attorno, il cosiddetto disco di accrescimento, formatosi oltre l’orizzonte degli eventi, il limite al di là del quale la luce non può più tornare indietro. Le implicazioni di questa impresa sono molteplici e complesse. Tanto per cominciare, adesso abbiamo la conferma del fatto che al centro della Via Lattea ci sia effettivamente un buco nero.

«Noi eravamo convinti che ci fosse – spiega a Open l’astronomo e divulgatore Pierdomenico Memeo -, perché tutto ciò che è attorno si comporta proprio come se ci fosse un buco nero. Adesso abbiamo una conferma indipendente». Matteo Miluzio (astronomo) e Filippo Bonaventura (astrofisico e cosmologo), autori assieme al fisico Lorenzo Colombo del saggio Houston, abbiamo un problema, raccontano a Open quanto appreso a seguito della diretta nella quale è stata annunciata questa immagine storica. «Eravamo abbastanza certi che lì si trovasse un buco nero – continua Bonaventura -, non poteva esserci altro. Tant’è vero che hanno dato dei premi Nobel nel 2020 proprio per una serie di ricerche che ci hanno detto “laggiù c’è un buco nero”. Sarebbe stato clamoroso se non fosse stato così. Questa immagine rappresenta la prova diretta».

Le differenze tra Messier 87* e Sagittarius A*

Come mai abbiamo aspettato più tempo per ottenere la foto di un buco nero tutto sommato molto più vicino a noi rispetto a Messier 87*? «Loro sono anni che stanno facendo osservazioni di candidati buchi neri – dice Memeo -, questa chiaramente non è una foto ma una composizione di dati radio attraverso analisi complesse. Parliamo di dati raccolti fin dagli inizi del 2017. Hanno fatto prima con M87* nonostante sia molto più lontano, infatti è nel centro di un’altra galassia, però è molto più grande e luminoso. La difficoltà di osservare Sagittarius A* sta proprio nel fatto che sta al centro della nostra galassia, mentre noi siamo in periferia». M87*, in quanto più grande, «ha del materiale che noi osserviamo fisicamente, è gas ad altissima temperatura che gira attorno più lentamente. Al contrario in Sagittarius A* è più veloce, rendendo la realizzazione della foto più difficile».

«Il problema principale era appunto che Sagittarius A* si trova più vicino ma dietro a polveri e gas – dice Miluzio -, l’altra complicazione è che rispetto a M87* è un oggetto molto più irrequieto. Perciò, quando raccogli i dati le immagini possono essere diverse l’una dall’altra». Come quando fotografiamo un oggetto in movimento, c’è il rischio che la foto venga male. «Hai migliaia di immagini del buco nero, tutte leggermente diverse tra loro, quindi non è stato banale ricostruire l’immagine corretta, mentre per M87* erano tutte sostanzialmente uguali. Hanno dovuto quindi elaborare degli algoritmi migliori», dice Miluzio.

Eht | In alto M87*, in basso Sagittarius A*.

Dalla fantascienza alla realtà

Le immagini di entrambi i buchi neri ricordano parecchio quanto riprodotto nel film Interstellar, a cui ha collaborato non a caso il fisico teorico Kip Thorne. «Queste immagini confermano quel che sapevamo e che Thorne ha usato per realizzare le immagini del film», dice Miluzio. Dalla pellicola sono stati tratti anche due studi: «Il trucco è stato il seguente: “noi vi facciamo un buco nero realistico, in cambio voi ci fate usare la potenza di calcolo per fare bene le simulazioni”. Poi le immagini sono state ovviamente elaborate in senso cinematografico».

Come sono state realizzate queste immagini? «Si tratta di una collaborazione di radiotelescopi sparsi nel mondo. Si usa una tecnica chiamata interferometria – continua Memeo -, questa fa sì che raccogliendo i dati da più telescopi abbiamo un miglioramento della qualità delle immagini. Difficile dal punto di vista tecnico, perché bisogna saperle sovrapporre, in modo da ottenere una risoluzione più elevata». L’impresa è notevole, «tenuto conto che visivamente qui il buco nero ha un angolo di vista delle stesse dimensioni angolari di una ciambella sulla superficie della Luna».

«Più radiotelescopi ci sono, maggiore è la possibilità di ottenere un’immagine dettagliata – continua Miluzio -, l’Eht adesso ha otto radio-osservatori sparsi in tutto il mondo, tra l’emisfero Nord e Sud. Con quelli hanno fatto la foto di entrambi i buchi neri. Tutto sulla base delle onde radio». Ma sappiamo come sì è formato il buco nero al centro della nostra galassia? «Questa è una domanda da un milione di euro. Non abbiamo ancora una spiegazione completa. Ci sono delle teorie: i buchi neri possono essersi accresciuti di massa man mano, aumentando il proprio raggio. Non abbiamo ancora idea della ragione per cui manchino buchi neri di massa intermedia, li abbiamo di piccola massa o massicci di milioni di masse solari, ma ci manca la via di mezzo. Perché non li abbiamo trovati? La teoria è ancora molto carente su questo».

Non è un caso che Sagittarius A* si trovi proprio al centro della galassia, dice Bonaventura: «Quasi tutte le galassie hanno un buco nero al centro, sono il luogo dove c’è anche più materia, ne sono quindi il cuore, praticamente la teoria sull’evoluzione delle galassie ci dice che in quasi tutte debba esserci al centro un buco nero super-massiccio».

Le ripercussioni sulla ricerca scientifica

Le ripercussioni di questa impresa sul futuro della ricerca scientifica possono essere importanti, dice Miluzio: «Già adesso questa scoperta ha dato un risultato che conferma le predizioni della relatività generale di Albert Einstein, quindi è un successo dal punto di vista teorico. Significa che la teoria ha superato un’altra difficile prova. Si vede che la gravità del buco nero deforma e devia la luce proveniente dal disco di accrescimento, come ci aspettavamo dalle equazioni di Einstein».

«Per il futuro questa immagine può aiutarci tantissimo a capire come il buco nero interagisce con l’ambiente circostante», prosegue Miluzio. «Sappiamo più o meno come è fatto grazie ad altre immagini ottenute con vari telescopi, nelle varie bande elettromagnetiche, quindi sappiamo come è fatto il circondario di Sagittarius A*; questa immagine può aiutarci a capire come interagiscono tra loro e che ruolo hanno i campi magnetici del buco nero in tutto questo».

«Adesso è migliorata notevolmente la qualità delle immagini ottenute in altri ambiti – continua Memeo -, ad esempio nella Tac e nella scintigrafia. Gli algoritmi che vengono utilizzati per realizzare le foto dei buchi neri, in medicina hanno applicazioni per migliorare tantissimo la diagnostica per immagini». Imparare a fare cose complesse ci aiuta quando ci applichiamo in quelle più semplici. «Certamente, più diventiamo bravi nel fare cose difficili, più vengono in mente nuove idee e vengono fatte nuove scoperte, che poi vengono traslate nella vita di tutti i giorni».

«Le tecniche di elaborazione delle immagini sono applicate in tantissimi ambiti della nostra vita – continua Bonaventura -, ad esempio, quando il telescopio Hubble venne mandato in orbita aveva un problema: produceva immagini sfocate. Le tecniche di elaborazione per adattare le immagini sono state poi usate in ambito medico, per migliorare le immagini delle mammografie, facendo diagnosi più precoci, salvando vite. Quindi nulla vieta che le tecniche di elaborazione applicate per produrre le immagini dei buchi neri siano utilizzate in altri ambiti della scienza, con ricadute enormi».

ANSA/UFFICIO STAMPA ESERCITO | Immagine di repertorio: esami radiologici con apparecchiature di ultima generazione.

Foto di copertina: Eht | L’immagine di Sagittarius A*.

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