Delitto Mollicone, l’amarezza della famiglia: «È una sconfitta anche per lo Stato italiano». La guerra di perizie che non ha convinto i giudici

«Non c’è ancora giustizia per Serena», ha detto Dario De Santis, storico legale del padre di Serena deceduto nel 2020. Dalla porta della caserma di Arce alle testimonianze alterate, i punti ancora da chiarire

«Non commento la sentenza finché non leggerò le motivazioni, ma il dato che emerge oggettivo è che a 21 anni dai fatti non c’è ancora giustizia per Serena. Una sconfitta anche per lo Stato italiano che ha nella giustizia una delle sue funzioni cardine». Così l’avvocato Dario De Santis, legale di Guglielmo Mollicone, il padre di Serena, morta il 1° giugno 2001 in circostanze che ormai non verranno più chiarite. Guglielmo Mollicone, dopo quasi venti anni passati a chiedere giustizia, è morto a 72 anni nel maggio del 2020, alla vigilia del rinvio a giudizio degli imputati per la morte di sua figlia, ora assolti dalla Corte d’assise di Cassino.


La prova che non c’è

Le motivazioni della sentenza saranno depositate tra 90 giorni. Intanto, però, ci sono dei punti che già alla vigilia della decisione della Corte avevano fatto pensare che ci potessero essere delle difficoltà nel dimostrare la presunta colpevolezza degli imputati «oltre ogni ragionevole dubbio». Il maresciallo Franco Mottola, sua moglie Anna Maria e il figlio dei due Marco sono stati assolti dall’accusa di omicidio «per non aver commesso il fatto». La prova mancante è quella che consentirebbe di legare i presunti assassini alla vittima. Su tutti gli elementi di quella sera, a partire dal corpo di Serena, il nastro con cui era stata legata e la porta usata come arma del delitto, non sono mai state rinvenute tracce biologiche degli imputati. Potrebbe essere la prova che siano state cancellate, però proprio sul nastro un’impronta digitale c’è. Non appartiene a nessuno dei Mottola e non è mai stata attribuita, come sottolinea il Corriere della Sera.


Il legno tra i capelli di Serena

I carabinieri dei Ris e la direttrice del laboratorio di anatomopatologia forense Labanof di Milano, Cristina Cattaneo, erano riusciti a dimostrare come la frattura cranica di Serena fosse dovuta all’impatto con la porta della caserma di Arce, in provincia di Frosinone. Tra i suoi capelli, poi, sono stati trovati anche dei frammenti di quel legno. Tuttavia, la controperizia della difesa ha fatto notare come la distribuzione di quei residui occupava una superficie più ampia della tempia della 18enne. Quindi potevano arrivare da un altro oggetto contundente fatto dello stesso legno. E il buco su quella porta avrebbe potuto essere solo uno sfogo di Mottola dopo un litigio con il figlio.

Testimonianze incomplete e alterate

Per la Procura, Mottola avrebbe sviato le indagini nel corso degli anni con azioni sospette, prove nascoste e testimonianze alterate. Da ricordare anche il caso del brigadiere Tuzi, morto suicida dopo aver rivelato, a sette anni di distanza, l’ingresso di Serena in quella caserma. Una testimonianza che non può più essere verificata e che rimarrà per sempre incompleta. Oltre alla famiglia Mottola, sono stati assolti anche l’appuntato Francesco Suprano, accusato di favoreggiamento, e il vicemaresciallo Vincenzo Quatrale, concorso esterno. Secondo l’accusa, Quatrale quel giorno era presente in caserma e non poteva non aver sentito nulla provenire dal piano di sopra. Suprano, invece, avrebbe tentato di nascondere la porta rotta. Tuttavia, per entrambi c’era l’ordine di servizio di non presentarsi in caserma quella mattina. Per la Procura, un ordine che non è mai esistito.

Leggi anche: