Una scissione nel M5s per salvare il governo Draghi? L’ipotesi del Bis senza Conte e gli scenari che portano al voto

Trattativa segreta su ministri e rimpasto. Con 15 eletti pronti a lasciare i grillini. Mentre Monti dà a SuperMario tre motivi per restare in sella

Un governo Draghi Bis senza il Movimento 5 Stelle. Ma con un buon numero di fuoriusciti (tra i 15 e i 40) per assicurare continuità politica. È questa l’ipotesi per evitare il voto, che resta comunque la soluzione più probabile della crisi di governo. Mentre tutti gli occhi sono puntati sull’Assemblea degli eletti del M5s che riprenderà oggi pomeriggio. Anche se trovare una quadra che tenga assieme il partito di Conte è sempre più complicato. Mentre Salvini e Berlusconi puntano insieme al voto. E il Financial Times si schiera con SuperMario: un endorsement internazionale in attesa di quella telefonata che potrebbe allungare la vita al governo. Ma c’è anche una trattativa segreta sui ministri e sul rimpasto possibile. Mentre Mario Monti, precursore di Draghi a Palazzo Chigi, fornisce al neo-premier tre ragioni per restare.


Il rinvio permanente

Con ordine. Al netto delle assemblee permanenti, il piano di Conte per allungare la vita del governo Draghi prevede di confermare la fiducia all’esecutivo e poi garantirgli l’appoggio esterno. Si tratta di un’ipotesi che terrebbe assieme un partito che invece sembra andare sempre più verso la balcanizzazione. I “governisti” grillini provano a mandare un segnale al premier. ma nel consiglio non vanno oltre la quindicina di interventi di dissenso su oltre sessanta. È il ministro per i rapporti con il Parlamento Federico D’Incà il capo della fronda. Insieme a lui Federica Dieni, Giulia Grillo, Luca Sut, Azzurra Cancelleri, Rosalba Cimino, Vita Martinciglio, Soave Alemanno, Diego De Lorenzis, Niccolò Invidia, Elisabetta Maria Barbuto, Elisa Tripodi, Gabriele Lorenzoni e Celeste D’Arrando. Sono i nomi di chi è intervenuto all’Assemblea contestando la linea di Conte.


È mistero però sui veri numeri degli eletti pronti alla scissione. Si va dai 40 ipotizzati nelle cronache di ieri ai 15 contati oggi dal Fatto Quotidiano. Che rivela il motivo della convocazione dell’assemblea congiunta di sabato: il capogruppo grillino alla Camera Davide Crippa aveva organizzato una riunione con i soli deputati, tentando un blitz a favore del governo. La sua permanenza nel M5s è a rischio. Intanto, registra l’agenzia di stampa Ansa, fra i contiani c’è la convinzione che il leader abbia saputo tenere la rotta. Mediando fra chi da tempo voleva uscire subito dal governo e chi invece considera opportuno sostenere l’esecutivo fino alla sua naturale scadenza. Ma la crisi non è colpa del M5s, è la difesa dei colonnelli del leader: «Se Draghi, anziché decidere di dimettersi, avesse convocato un vertice di maggioranza, noi gli avremmo votato subito dopo la fiducia. E perché ora non va avanti, i numeri li ha?».

Le condizioni che mancano

Una risposta la fornisce Alessandro Di Battista. Ovvero colui a cui guarda almeno una parte del Movimento anche in prospettiva anti-Conte: «Se Draghi davvero lo volesse sarebbe ancora il Presidente del Consiglio di un governo di unità nazionale, perché quasi tutti gli voterebbero la fiducia, avrebbe numeri schiaccianti. Ma teme che ciò che la situazione in arrivo in autunno possa minare la grande credibilità internazionale che crede di avere: non vede l’ora di andarsene. Se poi gli dovesse arrivare una telefonata importante dalla Casa Bianca o dall’ad di BlackRock potrebbe andare diversamente». Dall’altra parte della barricata c’è Draghi. Che si felicita per l’appello dei sindaci in suo favore e intanto riflette. Senza un segnale forte dai partiti non si potrebbe ricreare quell’agilità politica indispensabile per portare avanti l’azione di governo, è il ragionamento che ancora circola a Palazzo Chigi.

Il Corriere della Sera dà conto di un ragionamento interno tra i draghiani, che non necessariamente coinvolge in prima persona il premier. Se Crippa e altri big M5s lasciassero il Movimento il perimetro della maggioranza resterebbe più o meno lo stesso. Il “nuovo” governo non sarebbe un bis ma un Draghi Uno senza ministri contiani. Fonti di governo, sostiene il quotidiano, ritengono che sia questo il sentiero che porterà alla soluzione della crisi. Draghi intanto è atteso oggi ad Algeri e mercoledì 20 luglio in Parlamento. Per confermare l’irrevocabilità delle dimissioni. Oppure per aprire un nuovo capitolo. Il PD spera che almeno martedì sera si possa intuire lo spirito con cui i premier affronterà le Camere. Già la sola disponibilità a rimanere in Aula ad ascoltare il dibattito potrebbe aprire quello spiraglio che, sottotraccia, alcune forze politiche continuano ancora a cercare.

Monti: Draghi non lascerà

Intanto il senatore a vita Mario Monti, ex presidente del Consiglio durante la crisi dello spread che portò alle dimissioni dell’ultimo governo Berlusconi, sul Corriere della Sera traccia tre motivi per scommettere che Draghi non lascerà. Il primo è il rispetto per il paese: «Anche se i politici, all’inizio osannanti, diventano ostili a causa dell’impopolarità di certe misure necessarie e da loro stessi approvate; anche se essi creano ostacoli che possono appannare la reputazione del governo o di chi lo guida, non c’è spazio per considerazioni personali», scrive Monti. Che pare proprio riferirsi al suo destino negli ultimi mesi di governo, quando finì nel mirino di molti. Ovvero lo stesso destino che pare voler schivare Draghi. Il secondo motivo per rimanere, ragiona ancora Monti, è che il lavoro iniziato non è ancora finito.

«La situazione dello spread non è quella che sarebbe lecito attendersi al concludersi di un governo Draghi. Lo spread dell’Italia è aumentato più di quello di vari altri Paesi ed è molto più alto di quello riscontrato all’inizio dello stesso governo. Dato l’andamento di queste variabili nel tempo, se dovessero ulteriormente peggiorare all’indomani di eventuali dimissioni definitive di Draghi sarebbe difficile sostenere che il quadro finanziario italiano sia peggiorato, come ci si sarebbe attesi, a causa della partenza dell’ex presidente della Bce», fa sapere Monti. Infine, c’è il giudizio della comunità internazionale: «Cosa si direbbe dell’Italia all’estero, se si dovesse constatare che perfino l’italiano più credibile e rispettato decide di lasciare prima del tempo un impegno di così grande responsabilità?». Per questo, dice Monti, Draghi alla fine ritirerà le dimissioni e andrà avanti.

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