La disfida dei rigassificatori di Piombino e Ravenna, tra l’indipendenza energetica e le proteste di cittadini e di partiti

I due impianti contribuirebbero all’indipendenza energetica dell’Italia con 10 miliardi di metri cubi l’anno, ma non entreranno in funzione prima della primavera del 2023

Mario Draghi l’ha detto più volte: «Dobbiamo ridisegnare la nostra politica energetica e, per farlo, dobbiamo accelerare l’installazione dei rigassificatori a Piombino e a Ravenna». Impianti sicuri, essenziali per il nostro fabbisogno energetico, per la tenuta del tessuto produttivo, li ha definiti mercoledì 20 luglio rivolgendosi al Senato e parlando di una questione di «sicurezza nazionale». Ma i due impianti, e con essi la garanzia di un’indipendenza dal gas russo nel prossimo inverno, hanno contro di loro prima di tutto il tempo. Il nuovo rigassificatore di Piombino (in provincia di Livorno) dovrebbe garantire un flusso di 5 miliardi di metri cubi l’anno, ma non potrà entrare in funzione prima della primavera del 2023. L’impianto di Ravenna apporterebbe altri 5 miliardi di metri cubi, ma se ne riparlerebbe solo nell’estate del 2024. All’ostacolo delle tempistiche, si aggiungono le proteste dei cittadini e delle amministrazioni locali. Soprattutto a Piombino.


L’impianto in Toscana

Con i suoi 34mila abitanti e 12 milioni di metri quadri di acciaierie, per oltre cento anni Piombino è stata il secondo polo siderurgico italiano. Fino al 2014, quando l’altoforno è stato chiuso, lasciando a mani vuote più di 10mila operai ma, soprattutto, compromettendo la credibilità delle istituzioni, che non hanno mai mantenuto le promesse di bonifica e di un rilancio di una siderurgia pulita. Una cittadina disillusa che ora, dopo essersi reinventata capitale dell’itticoltura con una produzione del 60 per cento del pescato d’allevamento italiano e un indotto da 60 milioni di euro, si sente di nuovo alla berlina dello Stato. La Golar Tundra, la nuova nave rigassificatrice, funziona con un sistema a circuito aperto: quando carica il gas liquido trasportato dalle navi scarica in mare un’acqua più fredda di 7 gradi e carica di cloro. Una combinazione, a detta dei detrattori, incompatibile con la vita dei pesci.


Anche la scelta di nominare un commissario straordinario, che consente di aggirare la valutazione d’impatto ambientale, non aiuta a placare i dubbi. «Perché non si è scelto un sistema a circuito chiuso, più costoso ma meno inquinante?», chiede Nicola Fratoianni, segretario della Sinistra Italiana. «Vogliono installare una gasiera lunga 300 metri nel cuore di un porto trafficato da tre milioni di passeggeri l’anno e uno spazio di manovra di 100 metri. È come custodire una bomba atomica a pochi metri dalle case», ha detto a La Stampa Alessandro Dervishi, l’animatore di uno dei quattro comitati che guidano la rivolta al rigassificatore.

Una protesta quanto mai a-partisan, guidata dal sindaco di Piombino Francesco Ferrari, di Fratelli d’Italia, che oggi raccoglie un consenso trasversale. «Sono orgoglioso di rappresentare tutti – ha detto a La Stampa – Contesto al governo la superficialità. Abbiamo fatto accesso agli atti al ministero della Transizione ecologica per capire su che basi avessero scelto Piombino, ma siamo rimasti basiti: non hanno fatto alcuna valutazione alternativa».

Il commissario straordinario, il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, tenta la strada del rilancio dell’economia locale: in un memorandum di dieci punti parla di «investimenti in porto, bonifiche, acciaieria e infrastrutture», ma Ferrari non ha intenzione scendere a compromessi: «Non barattiamo la sicurezza dei cittadini». Giani parla di un «sacrificio temporaneo» (la concessione alla Snam è per il momento di 3 anni) e un futuro «offshore», e intanto l’iter è stato avviato: ci vorranno 120 giorni per raccogliere i pareri di una trentina di enti coinvolti. Se ne riparlerà sicuramente con il nuovo esecutivo. E la speranza dei piombinesi è proprio che il caos politico inneschi un cambio di rotta.

E quello in Emilia-Romagna

Nell’Adriatico la situazione migliora in quanto a consensi, ma rimane complicata nei termini tecnici. La regione nasconde un tesoro sottomarino, e l’hanno capito bene Albania e Croazia, che già sono all’opera per attingere dai giacimenti di gas, petrolio e metano, che potrebbe fornire un importante contributo per l’indipendenza energetica dell’Italia anche solo se si facessero operare alla massima capacità le trivelle già attive. Il rigassificatore di Ravenna, il secondo, punterebbe sempre in questa direzione. A differenza di quello già esistente, che ha una struttura fissa, il nuovo impianto sarebbe galleggiante e in grado di ricevere metano liquefatto portato dalle navi. Il problema, però, sono i tempi: si dovrà aspettare l’estate del 2024, bypassando di molto il periodo più critico per il nostro fabbisogno energetico.

L’appoggio politico, almeno, c’è. Oggi, intervistato da La Stampa, il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini parla con entusiasmo dell’ipotesi del rigassificatore: «Lo faremo anche senza un governo nella pienezza dei suoi poteri e lo faremo al servizio di tutta Italia: per garantire le forniture di gas a prezzi normali. Basta con l’Italia dei no, serve un’Italia del sì», ha detto, parlando anche del «più grande parco italiano dell’eolico e fotovoltaico a mare» per sostenere le energie rinnovabili e la transizione ecologica.

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