L’alleanza con Renzi, i sondaggi al 15%, la raccolta firme: cosa farà Carlo Calenda dopo l’addio al Pd
L’addio di Carlo Calenda all’alleanza con il Partito Democratico annunciato in diretta da Lucia Annunziata a Mezz’ora in più apre orizzonti e confini per le elezioni politiche del 25 settembre. «Sono sollevato, ho fatto la cosa giusta», ha detto lui subito dopo lo strappo. Dietro il suo ottimismo c’è un sondaggio che ha commissionato nei giorni scorsi. E che lo vedeva al 10,7% in caso di corsa solitaria. Con buone prospettive di crescita (fino al 15%) in caso di accordo con Matteo Renzi. «Senza la palla al piede dell’intesa a sinistra queste elezioni non le vince nessuno. E a Palazzo Chigi ci torna Mario Draghi, se lo vorrà», è l’idea. Mentre con Azione alleata del Pd avrebbe lasciato quel campo a Italia Viva. Ma c’è un problema. Servono 36 mila firme per partecipare al voto senza gruppo parlamentare. Ma qui potrebbe prospettarsi una soluzione a sorpresa.
La Bad Godesberg e il Terzo polo al 15% nei sondaggi
Ieri Calenda ha accusato il Pd di non aver fatto la sua Bad Godesberg. Il riferimento è al luogo in cui si celebrò nel 1959 il congresso dei Socialdemocratici tedeschi in cui la Spd abbandonò definitivamente il marxismo per il riformismo. Più prosaicamente, fa sapere oggi Il Messaggero, dietro la scelta del leader di Azione c’è un sondaggio commissionato nei giorni scorsi. Dove il suo partito, in alleanza con +Europa, raggiungeva il 10,7% in caso di corsa solitaria. Con il Pd la percentuale scendeva all’8,5%. Lo strappo quindi è frutto di un calcolo: «E se ora imbarco Renzi assieme possiamo fare il 15%. Una percentuale che potrebbe davvero impedire la vittoria della destra».
L’idea di Calenda è che il serbatoio di voti in uscita da cui abbeverarsi sia quello di Forza Italia. «Se spingo Berlusconi sotto il 3% il pareggio è cosa fatta», è la tesi. Decisive nella scelta sono state Mariastella Gelmini e Mara Carfagna. Che hanno spiegato in più occasioni all’ex ministro dello Sviluppo che andando al voto con Sinistra Italiana «la proposta politica di Azione non sarebbe comprensibile». Perché allearsi con Fratoianni che dice no alla Nato e non vota la fiducia al governo Draghi avrebbe causato perdita di credibilità davanti all’elettorato. In più, la corsa solitaria di Renzi avrebbe potuto rubare il palcoscenico del Terzo Polo ad Azione. Adesso tutto cambia. E il nome di Calenda potrebbe addirittura finire sul simbolo dell’alleanza con Renzi.
Le 36 mila firme
Altrimenti? Altrimenti ci vogliono 36 mila firme da raccogliere su tutto il territorio nazionale. Le norme per le elezioni sono state riviste alla luce della riduzione del numero dei parlamentari. Certo, nel decreto elezioni varato dal governo il 5 maggio scorso sono previste delle esenzioni. Possono presentare le liste senza raccogliere le firme «i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021». Ovvero Pd, Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, M5s, Liberi e Uguali, Italia Viva e Coraggio Italia. Ma questo vale anche per chi ha «presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni della Camera o alle ultime elezioni dei membri del Parlamento europeo in almeno due terzi delle circoscrizioni».
E abbia ottenuto almeno un seggio assegnato in ragione proporzionale. Oppure abbia conseguito, sul piano nazionale, almeno l’1% del totale. È il caso, ad esempio, di +Europa. Per questo adesso i tecnici stanno cercando di capire se la regola possa valere anche per Azione. Che si era presentata alle elezioni europee con la lista “Siamo Europei”. In questo caso Calenda non avrebbe bisogno dell’apparentamento con Renzi. E potrebbe lanciare la sua lista anche all’interno di un’alleanza con Italia Viva e Pizzarotti (che ha lasciato il Pd per allearsi con Iv). Ma si tratta soltanto di un’ipotesi, per ora. Perché quel simbolo non è stato mai attestato. La via maestra è quindi quella dell’accordo. Che però ha un problema sul tavolo. Collegato alla questione delle liste e del simbolo.
Renzi & Calenda, la strana coppia
Un retroscena de La Stampa infatti oggi racconta che Calenda preferirebbe presentare agli elettori un’alleanza di liste, mentre Renzi preferirebbe un listone unico. Il problema è strettamente collegato alla legge elettorale. Per la parte proporzionale del Rosatellum infatti i seggi si ripartiscono tra le liste che ottengono almeno il 3%. Questo significa che ogni lista infatti ha uno sbarramento nazionale del 3%. Invece le coalizioni hanno una soglia al 10%. E il voto funziona così: i partiti in coalizione che prendono tra l’1 e il 3% riversano i loro voti, proporzionalmente, alle altre liste della stessa coalizione che hanno superato il 3%. Mentre i voti delle liste che rimangono sotto l’1% vanno completamente persi.
Da qui si capisce perché Renzi preferirebbe fondere i due partiti. Perché ha paura che un’alleanza con Calenda possa mettere a rischio quell’obiettivo minimo del 3% che si preparava a cercare di conseguire anche con i (presunti) voti di Pizzarotti. Con una lista unica invece il problema sarebbe più di Calenda. Perché a quel punto diventa vitale superare il 10% per entrare in parlamento. Ma per la lista ci vogliono le firme. Oppure l’alleanza. Azione ha lanciato una mobilitazione in partenza tra 48 ore. Ma per raccogliere le firme dovrebbe avere almeno in mano la lista dei candidati in ogni circoscrizione. A parte la questione degli ego dei due, questo è il punto dirimente. E su questo Azione deve prendere una decisione al più presto. Avere le mani libere o seguire la via più facile?
Leggi anche:
- Emma Bonino durissima con Calenda: «Non è serio cambiare opinione ogni tre giorni, specialmente se si vuole governare»
- L’ultimo scontro Calenda-Fratoianni. Il leader di SI: «Impensabile riproporre l’agenda Draghi». Calenda al Pd: «C’è qualcosa di credibile?»
- Dopo lo strappo di Calenda, Conte a muso duro contro Letta: «Il Pd pensa di riaprire al M5s? Enrico, offri pure i seggi liberi a Di Maio»