La ministra norvegese nella bufera perché usa TikTok: «A rischio dati importanti nelle mani della Cina»

Gli esperti di cybersicurezza contestano alla titolare del dicastero della Giustizia di non aver pensato alla vulnerabilità della app e ai rischi che il governo di Pechino possa sfruttarla per accedere a informazioni sensibili. Un dibattito che potrebbe presto emergere in Italia, dopo che diversi leader politici sono sbarcati sulla piattaforma e potrebbero andare al governo

La ministra della Giustizia norvegese, Emilie Enger Mehl, è finita nella bufera dopo essere sbarcata su TikTok, la piattaforma che conta più di un miliardo di utenti nel mondo e controllata dalla big-tech cinese Bytedance. L’intenzione della ministra, come spiegato in un’intervista all’emittente Nrk, era quella di «avere un dialogo aperto e diretto con le persone», utilizzando l’app «per poter mostrare la mia vita di tutti i giorni come politico in un modo interessante». Una scelta già ampiamente fatta da diversi leader politici italiani che, durante la campagna elettorale, hanno deciso di approdare su TikTok per illustrare programmi e, almeno nelle intenzioni, avvicinare la politica ai più giovane, con risultati più o meno soddisfacenti. Ma del tema «sicurezza» finora non sembra ancora mai posto il problema nessuno, almeno in Italia. La ministra della Giustizia ha spiegato di essersi sempre attenuta «ai consigli e alle linee guida del ministero e dell’Agenzia per la sicurezza nazionale (NSM), prendendo prendo una serie di precauzioni su come utilizzo i social media, il pc, il cellulare e il tablet». Emilie Enger Mehl però, prima di aprire il profilo personale su TikTok, non si è consultata con le autorità per la sicurezza informatica norvegesi. E anche alla luce del ruolo ricoperto nell’esecutivo, l’apertura del suo profilo social ha innescato numerose polemiche tra gli esperti di cyber sicurezza nazionali.


Gaute Bjørklund Wangen, esperto di cyber-security e professore associato dell’NTNU (l’Università norvegese della scienza e della tecnologia), ha criticato la decisione della ministra: «A essere sinceri, TikTok é uno strumento per raccogliere dati personali sensibili che successivamente vengono trasferiti in Cina». Tobias Judin, capo della dell’Autorità norvegese per la protezione dei dati, ha dichiarato che non si hanno chiare informazioni su quali e quanti dati vengano acquisiti da TikTok, oltre a quelli essenziali per l’iscrizione. Secondo Judin, infatti, «può quindi capitare che le informazioni finiscano nelle mani delle autorità cinesi, ma non è certo». In qualsiasi caso, secondo il numero uno dell’Agenzia nazionale per la sicurezza norvegese, «la ministra avrebbe dovuto attivarsi e chiedere consiglio», dato che involontariamente potrebbe aver condiviso un numero di informazioni maggiore rispetto a quelle elencate ufficialmente dall’app. Gli esperti di sicurezza di tutto il mondo, infatti, da tempo si interrogano se la piattaforma cinese rappresenti un pericolo per la sicurezza nazionale, a maggior ragione se utilizzata da politici e personalità istituzionali.


Dubbi anche negli Usa: TikTok è un pericolo per la sicurezza nazionale?

Negli Stati Uniti, per esempio, in vista delle elezioni di metà mandato le autorità di regolamentazione sono tornate ad accusare la piattaforma cinese di essere una minaccia per la privacy dei cittadini e per la sicurezza nazionale del Paese. I dubbi riguardano principalmente il fatto che i dati raccolti dall’app, di cui non ne è al momento possibile fare una lista certa anche per gli esperti, potrebbero essere accessibili non solo all’azienda Bytedance, ma che possano essere trasferiti al governo cinese. Un’accusa che è stata rigettata da TikTok: «Non abbiamo mai fornito dati di utenti statunitensi al Partito comunista cinese, e che non lo faremmo nemmeno a fronte di una richiesta». Ma i dubbi tra i legislatori e tra gli esperti di cyber sicurezza di tutto il mondo restano, così come resta alta la tendenza a sconsigliare l’uso di TikTok in particolare modo a politici e rappresentanti delle istituzioni.

Leggi anche: