«Chi ha le centrali le sfrutti». Il nucleare pragmatico di Greta Thunberg mette d’accordo (quasi) tutti

Le parole dell’attivista svedese hanno suscitato clamore. Ma la sua visione è condivisa da esperti e Fridays for Future. Fuori dal coro Bonelli (Verdi): «L’unica risposta immediata sono le rinnovabili»

«Penso che sia una pessima idea puntare sul carbone quando il nucleare è già presente. Se le centrali sono già operative, sono convinta che sia un errore chiuderle per poi puntare sul carbone». Così l’attivista per il clima Greta Thunberg, ieri, ha commentato la scelta della Germania di spegnere progressivamente le proprie centrali nucleari entro la fine di quest’anno. Al momento, tre sono ancora attive. Una verrà effettivamente spenta, mentre due dovrebbero rimanere in funzione almeno fino ad aprile 2023. In un’intervista alla testata ARD, Thunberg ha fatto riferimento alla situazione della prima economia europea, che per sopperire alla crisi energetica ha portato nuovamente a pieno regime alcune centrali a carbone in via di dismissione. Un endorsement sì parziale, ma pesante e inaspettato quello dell’attivista, madre del collettivo ambientalista Fridays For Future. Oggi, la stessa Thunberg ha invitato, in un tweet, a non decontestualizzare le sue parole ribadendo la necessità di potenziare le rinnovabili, e discostandosi da chi le ha interpretate come un’apertura completa al nucleare.


Austria e Lussemburgo fanno causa alla Commissione sulla tassonomia europea

Nelle stesse ore il governo austriaco, nella persona della ministra per la protezione del clima Leonore Gewessler, ha reso noto che presenterà un ricorso alla Commissione Europea per chiedere l’annullamento dell’atto approvato dall’Europarlamento, che lo scorso luglio ha classificato gas e nucleare tra le fonti verdi all’interno della tassonomia europea. E il Lussemburgo pare intenzionato ad accodarsi. Il nucleare viene definito «una tecnologia obsoleta e pericolosa che comporta rischi incalcolabili». La decisione è particolarmente importante, perché, come Open aveva già spiegato nell’inchiesta sul nucleare di nuova generazione, proprio sulla tassonomia si basano incentivi e agevolazioni agli investimenti elargiti agli enti interessati a far progredire i progetti che coinvolgono le fonti classificate come verdi. Ciò significa che, nei prossimi anni, chi vorrà – ad esempio – costruire una centrale nucleare lo potrà fare in maniera più semplice e usufruendo di fondi europei e sconti.


La IEA: Il 10% dell’energia post-transizione verrà dall’atomo

Eppure, un’ipotesi che si fa sempre più concreta è quella di una permanenza del nucleare nel mix energetico mondiale del futuro, post-transizione verde. Sulle rinnovabili sono stati fatti grandi passi in avanti e la loro efficienza è cresciuta di molto negli ultimi anni. Tuttavia, rimane il problema della loro discontinuità. Questa va associata quindi a una base stabile: una produzione energetica su cui fare affidamento quando non tira vento o il sole non splende. Proprio per questo, nel rapporto Net Zero by 2050 dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), il nucleare, assieme all’idroelettrico, viene definito «fondamenta essenziale della transizione». Secondo l’agenzia, l’atomo dovrebbe produrre circa il 10% dell’energia totale necessaria, a fronte di un 70% dato da eolico e fotovoltaico. Questa condizione, richiede che venga effettuata manutenzione adeguata agli impianti esistenti, e in certi casi che ne vengano costruiti di nuovi. Tra i Paesi che ad oggi impiegano il nucleare, la media di energia fornita sul totale di quella impiegata dalle economie avanzate è del 18%.

Bonelli (Verdi): «L’instabilità delle rinnovabili verrà colmata dalle batterie»

«La dichiarazione di Greta Thunberg va contestualizzata», ha dichiarato il portavoce nazionale di Europa Verde Angelo Bonelli. «Si riferisce alla situazione tedesca e non è una vera apertura al nucleare. La Germania ha tre centrali nucleari attive e due di queste continueranno ad operare per pochi mesi in più». Secondo Bonelli, lo stesso ragionamento non si può applicare al nostro Paese, che centrali nucleari non ne ha. «Il fatto è che ora ci troviamo in economia di guerra. C’è un’urgenza ora – non fra trent’anni – di mantenere vivo il progresso economico», ha dichiarato. «Il dibattito non può essere trasportato in Italia perché noi il nucleare non ce l’abbiamo e ci vorrebbero almeno 15 anni a costruire una centrale. Dobbiamo dare una risposta ora e le rinnovabili lo sono». Secondo Bonelli, il nucleare non è la soluzione, nemmeno – come suggerisca la IEA – per fare fronte alla volatilità delle rinnovabili, legate alle condizioni meteorologiche. «Per gestire i picchi che si ottengono con la produzione dalle rinnovabili, sono necessari degli accumulatori», spiega a Open. «Al momento non sono abbastanza performanti, ma il progresso tecnologico ci porterà ad avere accumulatori sempre migliori ed efficienti. Gli investimenti sono ormai a portata di mano», ribadisce. Per questo, continua, «bisogna lavorare sulla rete. Osservando i dati di produzione italiani si può notare che in certi momenti l’intero fabbisogno del Meridione viene soddisfatto dalle rinnovabili. Dove c’è più carenza è al nord. Per questo è necessario migliorare l’infrastruttura e non pensare al nucleare».

Fridays For Future: «Non vanno spente le centrali in anticipo»

Sono più morbide nei confronti dell’atomo le posizioni degli attivisti di Fridays For Future, il collettivo ambientalista che Thunberg ha lanciato con i suoi scioperi per il clima. «Ad essere sincero, noi attivisti italiani avevamo già detto questa cosa: i Paesi dove le centrali nucleari sono accese dovrebbero continuare ad utilizzarle andare senza spegnerle in anticipo e senza costruirne di nuove» ha dichiarato Luca Sardo, portavoce della piattaforma di Torino. L’approccio pragmatico è giustificato da quanto visto negli ultimi anni: «Se si fanno impianti di rinnovabili e contemporaneamente si dismette il nucleare, ci si trova in una situazione dove le installazioni di rinnovabili hanno compensato la dismissione dell’atomo e non quella dei fossili, che hanno mantenuto una quota quasi invariata». Detto questo, noi siamo sempre stati contrari all’atto della tassonomia che ha inserito gas e nucleare tra le fonti verdi. Soprattutto per la questione del gas, mentre per quanto riguarda il nucleare siamo a favore di investimenti per il mantenimento delle centrali già attive. Ma il grosso nei prossimi 30 anni deve essere sulle rinnovabili. Perché rimangono 10 anni per superare il carbon budget per gli 1,5 gradi di riscaldamento. Quindi dobbiamo puntare su quelle e solo poi valutare il da farsi».

Il fisico nucleare Margagliotti: «Chi non ha il nucleare, lo compri da chi ce l’ha»

Thunberg si è inaspettatamente inserita nel dibattito in una posizione intermedia. A confermarlo a Open è il fisico nucleare Giacomo Margagliotti, docente all’Università di Trieste e membro dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). «Se i sistemi di garanzia di funzionamento e di sicurezza delle centrali nucleari sono a norma, l’atomo va molto bene come soluzione di transizione. Ma non considero plausibile puntare solo su quello, soprattutto perché non disponiamo di uranio sufficiente per più di un centinaio d’anni» ha spiegato a Open. «Quindi sì al nucleare, ma non va sfruttato all’osso», ha ribadito. «Anche perché le centrali a fissione producono molti scarti che al momento non si sa dove mettere. Soprattutto in un Paese come il nostro, dove la geografia non aiuta il processo di individuazione di un sito di stoccaggio» ha concluso. Parlando della possibilità di vedere dei nuovi impianti in Italia, Margagliotti è sicuro: «Non lo trovo saggio, ma se già le avessimo direi di sfruttarle. Mettersi a costruirle ora è un po’ tardi, anche perché una centrale nucleare non dura molto più di 40 anni. Ci sarebbe la fusione, che dovrebbe essere pronta da utilizzare fra una quarantina d’anni anche quella, ma la verità è che nessuno sa se lo sarà davvero». Insomma, secondo il fisico, «l’unica via al momento è sfruttare del tutto quello che la natura ci dà: il sole, l’acqua, il vento, la geotermia. E poi continuare a sviluppare le menti italiane affinché siano pronte a lavorare con i Paesi che il nucleare ce l’hanno e lo terranno, come la Francia. L’Europa deve lavorare in concerto, non è una questione da lasciare ai singoli Stati».

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