Maddalena Urbani «poteva salvarsi» dall’overdose: chiesti 21 anni per il pusher che non chiamò i soccorsi

La figlia di Carlo Urbani, medico che per primo isolò la Sars, è morta il 27 marzo 2021 dopo 17 ore di agonia

Maddalena Urbani, la figlia del primo medico che isolò il virus della Sars, è morta nel marzo 2021 per overdose di un mix tra droghe e farmaci. 17 ore di agonia hanno preceduto il decesso. «Poteva essere salvata», ma nessuno avvertì i soccorsi in tempo. Per questo la Procura di Roma ha chiesto pene severe per il suo spacciatore, Abdulaziz Rajab, e una sua amica, Kaoula El Haouzi. Le accuse sono, rispettivamente, di omicidio volontario con dolo eventuale e concorso in omicidio. Il rappresentate dell’accusa ha sollecitato una condanna a 21 anni per Rajab e a 14 anni per El Haouzi. Nel processo sono costituiti parte civile la madre e il fratello della vittima, rappresentati dall’avvocato Giorgio Beni.


La ricostruzione dei fatti

Nel corso della requisitoria, il pm Pietro Pollidori ha ripercorso i fatti di quel tragico 27 marzo, quando la giovane partì da Perugia per raggiungere Roma. E in particolare la casa occupata dal pusher 64enne, in zona Cassia. Un appartamento dove Rajab stava scontando gli arresti domiciliari per spaccio di stupefacenti, e dove la polizia trovò alcune dosi di eroina, metadone e un mix di psicofarmaci. È lì che il corpo di Maddalena è stato ritrovato privo di vita, dopo una segnalazione al 118. Arrivata a distanza di troppe ore: secondo le ricostruzioni infatti la ragazza aveva cominciato a star male dalle 20 del sabato sera, mentre l’ambulanza venne chiamata solo alle 13 del giorno dopo.


Un operaio di origini romene, testimone nel processo davanti alla prima Corte d’Assise, ha raccontato quello che successe in quel lasso di tempo decisivo. «Rajab mi ha chiamato sul cellulare, era molto
agitato, nel panico, perché una ragazza che era a casa sua era svenuta», ha spiegato il teste. «Ricordo di
averla distesa sul letto e di averle praticato il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca», ha aggiunto. «Avevo imparato queste tecniche dalla tv e da un corso di primo intervento in cantiere. Ricordo che la ragazza si riprese, di fatto l’ho fatta resuscitare. Dopo che la ragazza si è ripresa ho consigliato a Rajab di allertare il 118». Un consiglio che avrebbe potuto salvarla. Ma le cose andarono diversamente. «Il giorno dopo ho sentito dai notiziari quello che era successo», ha concluso il teste.

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