Cosa vuole fare il governo con il reddito di cittadinanza: taglio progressivo dell’assegno e limiti di tempo per riaverlo

Il sottosegretario Durigon annuncia il piano per le modifiche: rinnovo per periodi sempre più brevi e addio in caso di rifiuto di una sola offerta di lavoro

Il reddito di cittadinanza non sarà a vita. Il rinnovo sarà valido per periodi sempre più brevi. Mentre l’assegno calerà con il passare del tempo. E chi rifiuterà una sola offerta di lavoro lo perderà per sempre. Questo è ciò che il governo Meloni vuole fare con il reddito di cittadinanza. Le novità le racconta oggi il sottosegretario al lavoro Claudio Durigon (Lega) al Corriere della Sera. Durigon racconta che all’epoca del governo Conte I la Lega lasciò mano libera al M5s sul reddito per avere in cambio Quota 100. Ma anche oggi i due piani sono collegati: i risparmi che l’esecutivo vuole avere dal taglio del sussidio serviranno infatti a varare la nuova Quota 41 e la riforma delle pensioni che supererà la Fornero. Il punto di partenza della riforma sarà il tempo: i termini serviranno a tagliarlo come funziona oggi per la Naspi.


Tempi e soldi

Durigon spiega il punto di partenza del ragionamento: «Il sussidio non può essere a vita. Va fissato un termine oltre il quale non si può andare, un po’ come con la Naspi», l’indennità di disoccupazione che è anch’essa nel mirino dell’esecutivo. Un percorso «ragionevole», secondo Durigon, «prevede, dopo i primi 18 mesi di Reddito, che si possa andare avanti al massimo per altri due anni e mezzo, ma con un décalage». Ovvero con il taglio progressivo dell’assegno. Secondo il nuovo schema proposto dalla Lega dopo 18 mesi senza lavoro il percettore vedrà sospendersi il sussidio e sarà inserito in un percorso di politiche attive del lavoro. Come per esempio corsi di formazione adatti al suo profilo e alle richieste delle aziende. Il percorso potrebbe a quel punto essere retribuito con i soldi del Fondo sociale Europeo. Se dopo 6 mesi il lavoro ancora non arriva, il percettore potrà richiedere di nuovo il Rdc. Ma con un taglio del 25% dell’assegno. E una durata ridotta di 12 mesi. Durante i quali dovrebbe continuare a fare formazione.


La sospensione dopo 6 mesi

In caso di fallimento anche di questo percorso tornerà la sospensione di sei mesi del sussidio. Che potrà essere di nuovo richiesto, ma stavolta «solo per 6 mesi con un importo decurtato di un altro 25%». E quindi il percettore prenderà la metà di quanto gli era assicurato all’inizio. La riforma prevedrà anche la decadenza dopo il rifiuto di una sola offerta congrua di lavoro. E secondo Durigon la stretta colpirà un percettore attuale su tre. Ovvero i 660 mila che attualmente sono tenuti a sottoscrivere il patto e i 173 mila che oggi già lavorano ma con retribuzioni così basse da poter ottenere il sussidio. Infine, i controlli. Che non spetteranno più all’Inps ma ai comuni. Con la stretta il governo pensa di risparmiare fino a 3 miliardi di euro. Con il taglio del sussidio se ne risparmieranno 1,25 miliardi. «Magari per rafforzare gli interventi verso i veri poveri. E poi per introdurre Quota 41, cioè la possibilità di andare in pensione dopo 41 anni di lavoro».

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