Al Jazeera denuncia Israele all’Aja per la morte della reporter palestinese. Lapid: «Nessuno interrogherà i soldati israeliani»

L’emittente afferma che le prove presentate ribalterebbero le affermazioni delle autorità israeliane secondo cui la giornalista sarebbe stata uccisa in uno scambio a fuoco

Al Jazeera ha denunciato Israele alla Corte penale internazionale dell’Aja per la morte della giornalista, Shireen Abu Akleh, uccisa lo scorso 11 maggio mentre documentava gli scontri tra esercito israeliano e miliziani palestinesi nel campo profughi di Jenin in Cisgiordania. A riferirlo è la stessa emittente del Qatar che afferma – inoltre – di avere ulteriori prove che dimostrano come i soldati israeliani abbiano sparato direttamente alla reporter. «La tesi che Shireen – scrive Al Jazeera – sia stata uccisa per sbaglio in uno scambio di colpi è completamente infondata». Le ulteriori verifiche effettuate dal network, basate su testimonianze di persone presenti quel giorno sul posto, nonché su immagini raccolte ed evidenze forensi, «ribaltano – si legge nel testo – le tesi delle autorità israeliane secondo cui la giornalista sia stata uccisa in uno scambio a fuoco». Ma non solo. L’emittente, che ha diffuso anche un documentario sulle circostanze della morte, ribadisce come le prove raccolte «confermano che non c’erano scambi di colpi d’arma da fuoco nella zona dove si trovava la giornalista se non quelli indirizzati direttamente a lei dalle Forze di occupazione israeliane». Per questo motivo, continua l’emittente «l’uccisione faceva parte di una campagna più ampia per silenziare Al Jazeera». Tempestiva è arrivata la risposta di Israele sulla denuncia presentata all’Aja da parte dell’emittente. Il premier ad interim Yair Lapid ha affermato che «nessuno interrogherà o indagherà i soldati dell’esercito israeliano», aggiungendo poi: «nessuno ci può fare la morale sul comportamento in guerra, tanto meno la rete tv Al Jazeera».


Le indagini

A inizio settembre Israele – dopo una lunga indagine, anche sul proiettile che causò la morte della giornalista – ammise che c’era una «seconda possibilità» che la reporter 51enne nativa di Gerusalemme e cittadina statunitense fosse «stata colpita accidentalmente» da spari dell’esercito israeliano». Anche se – si leggeva nell’indagine dell’esercito – «non è stato possibile determinare in modo inequivocabile la fonte» dei colpi. Nei mesi successivi anche la famiglia di Abu Akleh aveva ribadito la necessità di un’indagine approfondita e trasparente sulla vicenda, anche con il coinvolgimento dell’Fbi e del Dipartimento di Stato Usa per accertare le dinamiche e i responsabili dell’omicidio. «In breve, vorremmo che il presidente degli Stati Uniti Biden facesse nel caso di Shireen ciò che la sua e le precedenti amministrazioni statunitensi non sono riuscite a fare quando altri cittadini americani sono stati uccisi da Israele, ovvero ritenere gli assassini responsabili», aveva scritto Lina Abu Akleh ad Al Jazeera. Dopo l’appello della famiglia della giornalista, a novembre gli Stati Uniti avevano annunciato l’apertura di un fascicolo da parte proprio dell’Fbi. Indagine che era stata subito bollata da Israele, tramite il ministro della Difesa Benny Gantz, come «un grave errore».


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