La rivolta delle Ong contro il decreto sicurezza: «Ministro Piantedosi, venga con noi in mare»

La prima nave che seguirà le nuove regole sbarcherà domani a Ravenna. Le altre si ribellano

Le Ong dichiarano guerra al decreto sicurezza. Il governo Meloni ha deciso che le navi che salvano i migranti in mare potranno transitare e intervenire solo per i soccorsi sotto il controllo e le indicazioni delle autorità territoriali. E che saranno tenute a formalizzare la richiesta di un porto sicuro già subito dopo la prima operazione di salvataggio. Senza sostare in mare per giorni. In caso contrario, si prevedono sanzioni per il comandante, l’armatore e il proprietario. Ovvero una multa fino a 50 mila euro e la confisca del mezzo. Che deve anche avere una «idoneità tecnica» per la sicurezza nella navigazione. La norma voluta dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha già ricevuto le critiche della Cei: «È basato sul nulla. Cadrà presto».


I salvataggi in mare

La prima nave che sbarcherà in Italia con il nuovo provvedimento già approvato è la Ocean Viking della Ong francese Sos Mediterranée, con 113 migranti a bordo, a cui è stato assegnato il porto di Ravenna. L’arrivo è previsto nella tarda mattinata di sabato 31 dicembre. Si tratta della stessa nave che fu accusata proprio da Piantedosi di aver generato la lite con il governo francese. La Sea Eye ha invece annunciato che seguirà la legge tedesca e non le nuove norme del governo italiano. Che prevedono, implicitamente, norme in grado di mettere in pericolo la vita dei naufraghi. Perché non potranno fermarsi a raccoglierne altri dopo aver mandato la comunicazione ai ministeri. E perché con l’assegnazione di porti lontani rispetto a quelli della Sicilia e della Calabria rischiano di passare giorni a navigare in mare. Secondo Valentin Schatz, giurista dell’Università di Luneburg e membro del team giuridico della Ong tedesca, «l’Italia non può imporre le modalità di svolgimento delle operazioni di soccorso in acque internazionali».


L’invito a Piantedosi

Caterina Bonvicini, scrittrice e giornalista che ha lavorato sulle navi delle Ong come volontaria, invita oggi lo stesso Piantedosi a salire sulle imbarcazioni «per aiutarci a decidere chi deve vivere o morire». In un commento pubblicato su La Stampa punta il dito prima sulle indicazioni del porto sicuro: «La Spezia? Ravenna? Perché non Trieste? Avete paura che portino quelli della rotta balcanica in Sar libica? Anche se è tragico, sui porti – quando non muore qualcuno – riesco ancora a scherzare. L’ho fatto addirittura in nave. Per esempio dopo avere riportato a bordo un ragazzo che si era appeso fuori e si voleva buttare fra le eliche. Magari non voleva davvero morire, ma basta un piede in fallo, basta uno scivolone, basta una mano umida che non tiene la presa». Poi la scrittrice immagina un soccorso in mare con il ministro: «Chi c’è, c’è. Chi non è pronto, resta sulla nave. È un peccato rimanere sulla nave, il Mediterraneo va visto molto da vicino. Lei mi ringrazia, l’aiuto a vestirsi in fretta, non è facile mettersi quei pantaloni, le stringo le bretelle. Mentre la gru ci cala nel buio, lei mi chiede: “Cosa faranno? Andranno verso il naufragio o verso il barchino pieno di acqua?”. “Non lo so”, le rispondo, “adesso si concentri su questo soccorso, agli altri penseremo dopo. Anche uno è tanto. Facciamone uno alla volta”».

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