L’Unione Europea in guerra con Pechino sul Covid, ma la variante che fa paura arriva dagli Usa

La concentrazione dei 27 membri sulle misure da adottare esclusivamente per la Cina appaiono contraddittorie alla luce di quanto gli scienziati Usa sono in grado di documentare

Puntare gli occhi su Pechino per cercare quello che già spaventa New York. Qualcuno tre anni fa avrebbe spiegato il curioso caso di strabismo fornendo il ritratto (legittimo) di un’umanità presa alla sprovvista da un virus sconosciuto e imprevedibile. A distanza di mesi, ripetute ondate Covid-19 e varianti diffuse, forse quanto sta accadendo nella gestione di una nuova possibile minaccia sanitaria è oggi la dimostrazione di uno strabismo pandemico senza giustificazioni. Sul fronte europeo è tempo di confronti: tutti attorno a un tavolo gli Stati membri discutono una linea comune per i viaggiatori provenienti dalla Cina con l’obiettivo di arginare una nuova possibile ondata di contagi Covid. I 27 sono convinti: «Ci vuole una linea comune per arginare il pericolo cinese», dicono, ipotizzando possibili dati, eventuali varianti, fantomatici bollettini che attualmente il governo di Pechino non ha alcuna intenzione di diffondere. Il sequenziamento italiano però ha tranquillizzato: i risultati danno prova di un virus cinese identico a quello presente anche nel Paese, varianti di Omicron comprese. Nulla insomma che la copertura vaccinale non abbia potuto affrontare finora, seppur con maggiore difficoltà rispetto al ceppo originario di Sars-Cov-2.


Ma come nel più frequente immaginario della lotta al virus, il “pericolo Pechino” torna a essere per i governi il principale nemico da combattere. Certo quanto successo a Wuhan ormai qualche tempo fa rende le cose non proprio facili alla reputazione asiatica ma è evidente come la scienza sia tutt’altra cosa. E a proposito di evidenze, è anche chiaro quello che da giorni i dati che arrivano dalla comunità scientifica americana testimoniano: negli Stati Uniti è in corso un nuovo contagio di massa la cui origine è attribuibile oramai con certezza a una nuova sottovariante capace di correre come nessuna mutazione di Omicron aveva mai fatto prima. Così, mentre gli occhi dei leader Ue rimangono puntati sul pericolo Pechino, negli Usa la mutazione di Omicron chiamata Gryphon galoppa più o meno indisturbata, provocando un balzo di contagi che stupisce e preoccupa gli esperti (dal 4% al 41% in soli 30 giorni). «Da mesi non ne vedevamo una crescere così velocemente».


In attesa di ulteriori studi che approfondiscano la capacità di Gryphon di evadere i vaccini, e più di qualche dato sembra essere già presente, la certezza è quella di una mutazione che secondo gli scienziati potrebbe oggi essere la responsabile di una nuova grande ondata in tutto il Paese. «XBB.1.5 è una variante emersa a New York. Riguardo alla nostra recente preoccupazione per le varianti che ci sta portando a richiedere test negativi per i voli dalla Cina, faremo lo stesso per i voli da New York?», si chiede il professore Jon Levi del BUSPH Environmental Health di Boston. E poi la risposta: «Siccome sono sicuro che la risposta sia no, la mancanza di logica è chiara». Eppure la decisione di Stoccolma, alla presidenza di turno dell’Unione dal 1° gennaio, non lascia dubbi sulle intenzioni dell’Ue: «La Svezia sta cercando di organizzare una risposta comune per tutti i membri per possibili restrizioni all’ingresso nelle nostre regioni. È importante mettere in atto rapidamente tutte le misure necessarie contro il pericolo cinese».

Lo spettro di una possibile variante cinese di cui non si ha nessuna prova, se non l’alto numero di contagi in una popolazione vaccinata poco e male (sarà quello il vero problema?), a quanto pare è capace di mettere i governi in allarme più di quanto riesca a fare una mutazione accertata come Gryphon negli Stati Uniti. Se di allarme poi non si trattasse, ci sarebbe la strategia di prevenzione su cui dovremmo mediamente essere tutti più preparati. Ma anche in questo caso la concentrazione dei 27 membri sulle misure da adottare esclusivamente per la Cina appaiono contraddittorie alla luce di quanto gli scienziati Usa sono in grado di documentare. Rimane allora l’ultimo sospetto, quello di uno strabismo tutt’altro che involontario, possibile strumento dei governi per lanciare segnali di sicurezza a chi tutto ad un tratto si è accorto che no, la pandemia non è affatto finita. Il rischio è che l’immaginario collettivo, alimentato da certe strategie comunicative e di gestione, sia ancora quello secondo cui difendersi dalla Cina voglia dire tenere lontano il virus. Un’equazione troppo pericolosa.

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