Il pressing di Usa e Polonia sulla Svizzera: «Confiscate gli asset russi per sostenere l’Ucraina». Ma si può fare?

A Berna dibattito aperto sulla possibilità di usare i beni congelati per sostenere Kiev: un “tesoretto” da almeno 150 miliardi di franchi/euro

L’invasione russa dell’Ucraina, iniziata poco meno di undici mesi fa, ha già stravolto in molti modi le certezze degli Stati europei. In un senso o nell’altro. La prima a cancellare nell’arco di poche settimane uno dei suoi grandi tabù del dopoguerra è stata la Germania, quando il cancelliere (socialdemocratico) Olaf Scholz ha aperto la strada al riarmo in grande stile del suo esercito per far fronte alla minaccia russa. Decisione senza precedenti, e che sarebbe stata politicamente impossibile, dalla caduta del regime nazista. Quindi è stata la volta di Svezia e Finlandia, per decenni perplesse sull’idea di entrare a far parte della Nato e che di fronte alla dimostrazione dell’aggressività russa (e anche della prova di unità data dall’Alleanza atlantica) hanno bruciato le tappe della “conversione”, chiedendo già in estate formale adesione. Ora a riflettere seriamente su uno dei suoi grandi tabù “fondativi” è la Svizzera. Non tanto sul piano politico, quanto su quello economico. La questione che si sta aprendo a Berna – come riporta il Corriere della Sera – riguarda la possibilità di confiscare i beni russi depositati o congelati nelle sue banche per sostenere la resistenza e i contrattacchi dell’Ucraina, e in prospettiva la sua ricostruzione. Imperativo morale o obbrobrio giuridico? Legittima scelta politica o negazione di ogni fondamento di un regime liberale? La questione tiene banco in Svizzera, e in futuro potrebbe riguardare anche altri Paesi democratici.


I conti in tasca a Mosca

Che le banche svizzere abbiano fatto e facciano da cassaforte di patrimoni e beni di milionari di ogni nazionalità è cosa arcinota. Per Berna, è questo anzi uno dei veri e propri asset del proprio modello economico. Una parte significativa di questi beni è di provenienza russa. Secondo l’Associzione bancaria del Paese, la ricchezza di proprietà russa serbata nei depositi degli istituti elvetici ammonta a una cifra compresa tra i 150 e i 200 miliardi di franchi (quasi la stessa cifra in euro). Confiscare tale denaro sarebbe un’abiura di ogni principio di libertà e diritto di proprietà. Ma la questione è meno cristallina per quanto concerne i beni già congelati in quei depositi perché di proprietà di oligarchi o altre figure dell’establishment russo colpite da sanzioni. In questo caso si parla di asset per un valore stimato di 7,5 miliardi, oltre a una quindicina di proprietà. Sottoposti a sanzioni, quei beni sono ora bloccati. Sarebbe possibile compiere un passo ulteriore e confiscarli, per trarne fondi utili da investire a sostegno dell’Ucraina? C’è chi è convinto di sì, facendo prevalere l’urgenza della sfida geopolitica. Lo ha chiesto a chiare lettere, fuori dai confini svizzeri, il premier polacco Mateusz Morawiecki.


Ben meno convinti appaiono invece i tedeschi. Lo ha detto chiaramente il presidente della commissione Esteri del Parlamento di Berlino, Franz Gruter: «Allora possiamo abolire direttamente la certezza del diritto», la sua bocciatura senza appello, che sembra in linea con l’approccio del governo di Olaf Scholz. Ma la pressione è forte, se è vero che a dicembre il Senato degli Stati Uniti ha approvato una misura che apre la strada proprio a misure di confisca di questo genere. Oltre ai fondi congelati degli oligarchi, c’è peraltro un altro “tesoretto” detenuto in Svizzera (e verosimilmente altrove) che potrebbero essere usato, se ce ne fosse la volontà politica e giuridica. Si tratta dei fondi detenuti all’estero dalla banca centrale russa, anch’essa sotto la scure delle sanzioni occidentali. Qui non ci sono stime ufficiali, ma s’ipotizza ci potrebbero essere una decina di miliardi nelle banche private svizzere. Il dibattito è aperto a Berna. Per ora. Nelle prossime settimane potrebbe arrivare anche in altre democrazie confinanti con la Svizzera…

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