Riforma Cartabia, i pm si dividono: «Impossibile punire furti e lesioni», «No, falso problema»

Entrate in vigore da pochi giorni, le nuove norme prevedono che reati come furto e sequestro siano perseguibili solo dopo che la vittima presenta querela

L’esigenza, avvertita all’unanimità, era e resta quella di velocizzare i tempi dei processi e aiutare gli uffici giudiziari a smaltire gli arretrati. Imporre l’accelerazione alla giustizia italiana è anche una precondizione per ottenere i fondi del Pnrr. Per raggiungere l’obiettivo, tra le varie norme introdotte dalla cosiddetta riforma Cartabia – in vigore da inizio anno – c’è quella che allarga le fattispecie procedibili solo dopo la querela della persona offesa. Ad esempio, per reati come furto, lesioni personali, sequestro di persona non aggravato, violazione di domicilio, truffa, frode informatica e appropriazione indebita, le autorità giudiziarie potranno incardinare un processo solo dopo che la vittima presenta una denuncia, e non a priori. Nei grandi uffici come Roma, Milano e Napoli, i pubblici ministeri stanno affrontando la novità con posizioni divergenti. Ad esempio c’è chi critica il rischio di impunità per reati come i borseggi, frequenti nelle città più turistiche: si ritiene che i viaggiatori, per non sottrarre ore alle vacanze, sarebbero generalmente disincentivati dal perdere tempo nel presentare una querela.


Tra chi lancia l’allarme c’è Eugenio Albamonte, ex presidente dell’Anm e procuratore della Capitale, che afferma: «Prendiamo, ad esempio una città come Roma in cui lavoro da anni, dove ogni giorno si consumano tantissimi furti ai danni di turisti che trascorrono in città solo alcuni giorni. Per chi indaga diventa un lavoro improbo rintracciare le vittime una volta che sono ripartite per acquisirne la denuncia. In questo modo rischiano di restare impuniti una galassia di reati ai danni di semplici cittadini e si assisterà, tra qualche settimana, a scarcerazioni di delinquenti che abitualmente mettono in atto condotte illecite di questo tipo». Della stessa opinione il procuratore generale di Napoli: Luigi Riello parla di una sorta di «depenalizzazione camuffata. Non vorrei che si diffondesse la convinzione che l’unico modo per fare i processi sia quello di non farli, se per vedere staccati gli assegni del Pnrr dobbiamo buttare a mare i processi, io non ci sto».


Tuttavia, il giudizio di Riello non è tranchant: «La strada scelta è stata quella positiva, che apprezzo, di modernizzare, di digitalizzare il processo, di realizzare nuove assunzioni di personale. Non mancano altri profili decisamente apprezzabili. Ma quanto alla perseguibilità a querela di molti reati, se per taluni posso concordare, francamente per altri, di particolare gravità ed allarme sociale, no». A difesa di questa parte della riforma Cartabia si schiera invece il capo dei pm di Bologna, Giuseppe Amato. Per lui si tratta di «un tema inesistente, una polemica di lana caprina, perché i benefici introdotti dalla riforma Cartabia, ampliando la platea dei reati procedibili a querela, sono sicuramente maggiori. Se un turista viene borseggiato e denuncia l’episodio, l’operatore di polizia sa che ora dovrà subito spiegare che è procedibile a querela, che comunque è quasi sempre contestuale. Per quanto riguarda i fascicoli già aperti invece, gli uffici giudiziari dovranno ricontattare le persone offese solo se è pendente una misura cautelare».

Fabio Roia, presidente del tribunale di Milano, guarda con favore all’intervento di Marta Cartabia sul sistema giudiziario. «Non è una mini riforma, è una riforma di sostanza e rivoluzionaria, ma che presuppone risorse adeguate a partire dal numero di operatori della giustizia, dai magistrati al personale amministrativo a quello degli uffici dell’esecuzione penale esterna». Condividendo l’impianto della legge, Roia invoca maggiori investimenti per sopperire alla carenza di organico. «Insomma – prosegue Roia – è un impianto che vuole razionalizzare l’esercizio dell’azione penale per evitare che persone assumano la qualità di imputato per lungo tempo». E conclude: «Lo spirito della riforma è corretto e la partita si gioca sulla previsione di condanna e, quindi, su un esercizio dell’azione penale più razionale. Ora, però, bisogna avere più risorse».

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